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Ciao, mi chiamo Zeno eee beh, sono morto. O meglio ora non lo sono più, beh tecnicamente lo sono ancora…

Ok, è molto difficile da spiegare, ma se ne avete voglia vi racconto cosa mi è successo.

1 MESE PRIMA

Quella mattina mi stavo fiondando in ufficio con il mio monopattino elettrico, la velocità era nella norma, la pista ciclabile era vuota e tutto andava liscio come sempre.

Sbam! Crash! E subito dopo buio.

Non so spiegarvi come, ma quando riuscii a realizzare cosa mi fosse successo, ero li che fluttuavo nell’aria, come quel fastidioso polline che ci “allieta” in primavera.

Ok Zeno, pensai, sei andato di sicuro a sbattere e hai picchiato la testa, niente di nuovo. Di colpo tutto mi fu più chiaro, quando capii che il mio corpo, steso a terra a “5 di spade”, era ormai senza vita. Mentre cercavo di capire se dovessi piangere o ridere dell’accaduto, improvvisamente tutto venne avvolto da una luce blu insopportabile, come quella delle lampade abbronzanti per farvi capire, e mi ritrovai in un insolito nuovo luogo.

Penserete: “bla bla il paradiso, San Pietro … le solite cose”. Ci ho creduto anche io per un momento, ma non andò proprio cosi e una volta terminata l’intensa luce blu, l’unica cosa che riuscii a vedere fu una strana figura bianca con uno strano elmo in testa. Nemmeno il tempo di alzare la mano per porre una domanda, che la strana figura in piedi di fronte a me disse: “Gate Five”. Ooook, pensai, dobbiamo fare il check-in anche da morti? Ma passiamo avanti.

Notai che alle spalle del mistico “omone” c’era una specie di fessura che, nonostante lui mi stesse indicando dal momento stesso in cui arrivai, non avevo minimamente preso in considerazione. Con il dubbio ancora in testa e senza molte altre opzioni, decisi di attraversare il pertugio per ritrovarmi in un enorme e fatiscente stanza, che si estendeva a perdita d’occhio.

Mi trovavo in un punto sopraelevato dal quale potevo osservare centinaia se non migliaia di porte dalle quali partivano altrettante code di persone, o almeno quello mi sembravano viste da la su. Decisi a quel punto di prendere una stradina che conduceva proprio ad una di queste code, ormai ero li per quale motivo non avrei dovuto assecondare il volere dell’enorme tizio di prima?

Giunsi molto in fretta alla corrente di persone in coda e fu li che riuscii ad intravedere i numeri fiammeggianti sopra ognuna di quelle porte. Ecco cosa intendeva per Gate Five, pensai. Il numero di persone in coda era indescrivibile e in pochi minuti fui seguito da un nuovo sfortunato deceduto che poi si trasformo in 5, poi 10 e cosi a perdita d’occhio. La cosa assurda era che le persone erano completamente irriconoscibili, non avevano ne bocca ne occhi, era come sei io non potessi vederli e non potessi comunicare con loro. La fiumana di gente veniva smaltita egregiamente, anche se ancora non potevo vedere l’ingresso del Gate, ma solo un flebile cinque luminescente che svettava in lontananza.

La domanda che mi ridondava in testa, più di ogni altra cosa, era: “e una volta passata la porta? “Il paradiso, l’inferno?” “Sarò giudicato?” L’ansia era crescente al solo pensiero.

Mentre la coda scorreva ancora senza problemi e allo stesso tempo le mie paure mi dilaniavano dall’interno, qualcosa mi urto con una certa veemenza. Mi voltai di scatto e mi trovai davanti nuovamente qualcosa di assurdo. Aveva fattezze umane, tranne per il fatto che al posto della testa possedeva un casco modello Duft Punk. Da come gesticolava credevo mi volesse dire qualcosa, ma dal suo casco non usciva alcun suono. Avvicinò la sua testa alla mia e quando fu abbastanza vicino sentii qualcosa uscire da quel suo enorme casco: “saltareee coooda?” Dopodiché si allontano dalla mia faccia, riportandosi in versione eretta e allungo la sua mano verso di me come segno di invito. Non era di certo l’invito ad una cena di natale, ma in quel momento di confusione non ci pensai poi molto e decisi di porgerli la mia mano. Non se lo fece dire due volte e afferrandomi mi trascino con un solo strattone al di fuori della coda che si richiuse alle mie spalle senza nessun problema.

Ci incamminammo parallelamente alle corsie formate da altri poveri sventurati come me e, passandoci attraverso, ci dirigemmo al primo Gate. La fila del primo Gate si sposto per farci passare, come già successo per le altre, e arrivammo davanti ad una parete specchiata che mi ricordava anche la superficie di un lago. Fermi in quel punto notai che alla mia destra e alla mia sinistra c’erano altre persone che come me avevano scelto di seguire questo individuo. L’omone fece un rapido check e ci fece fare un passo avanti oltre lo specchio e “voilà”, arrivammo all’inferno.

Appena solcato lo “specchio”, in questo nuovo luogo, sentii subito uno strano peso bloccarmi gambe e braccia e non era solo una sensazione, guardando le caviglie e i polsi notai dei graziosi braccialetti metallici che mi impedivano i movimenti e il tizio con il casco era già dall’altra parte dello specchio in cerca di nuovi “idioti” da abbindolare…! “Non accettare le caramelle dagli sconosciuti iniziava ad avere un senso”. La nuova destinazione raggiunta era composta semplicemente da un lunghissima banchina e un enorme vuoto che si estendeva a perdita d’occhio dinnanzi a noi. Immobili, davanti a quel baratro del quale non si riusciva a vedere la fine, ma soprattutto nel quale non si riusciva a vedere null’altro che l’oscurità, aspettavamo ammanettati, chissà quale salvatore che non sarebbe mai arrivato.

Guardandomi intorno mi accorsi di quante persone diverse ci fossero li presenti. Diverse etnie, diverse religioni probabilmente, ma di sicuro avevamo tutti una cosa in comune: ci eravamo tutti fatti fregare alla grande. Le manette alle mani e le gambe bloccate, erano probabilmente il minore dei problemi, visto che non sapevamo cosa ci sarebbe accaduto, ma questo aveva generato un grande brusio tra i presenti.

SBAM! Un fortissimo rumore, come lo sbattere di una grossa porta, ci fece sobbalzare e fece calare il silenzio tra le persone presenti. Non si riusciva bene a capire da dove provenisse, ma il dubbio ci fu tolto nel momento in cui un’ enorme testa cornuta compari dal buio, innanzi a noi.

Le teste iniziarono a comparire in vari punti nel vuoto, avevano un naso enorme, degli occhi gialli incredibilmente luminosi e Il collo che come uno stuzzica denti teneva unito il loro striminzito corpicino all’enorme testa. Erano cosi deformi che a stento riuscivo a capirne la fisica che li faceva stare in piedi. Dopo una breve occhiata sulle loro prede, questi enormi esseri tirarono fuori dall’oscurità le loro lunghe braccia attaccate alle quali c’erano due mani enormi con solo quattro dita per ognuna. Nella mano destra un vecchio sacco, probabilmente di canapa, e l’altra mano invece protesa verso di noi come dai contadini pronti a raccogliere i pomodori maturi.

Il silenzio si trasformo immediatamente in urla, alcuni vennero presi e inseriti nel sacco, altri invece vennero prima passati ad un giudizio olfattivo e nel peggiore dei casi scaraventati nello sconosciuto baratro sotto di loro. Lo scenario era apocalittico e mi ricordava una scena di un film che una volta avevo visto al cinema, credo fosse “la guerra dei mondi”, dove questi enormi robot alieni prelevavano gli umani dalle loro case… ecco la situazione era similare!

L’enorme occhio di uno di quei mostri infine si poso su di me, allungò il suo braccio e la sua mano si chiuse intorno al mio petto. Mi sembrava quasi di essere su di una di quelle giostre con il braccio meccanico che ti porta su in alto per poi farti cadere. Una volta davanti alla sua faccia ci mise qualche secondo a prendere una decisione e non sembrava convinto al 100% del mio odore, quindi decise semplicemente di scaraventarmi via nel buio del baratro.

Mi ricordo solo che persi i sensi a causa del veloce sobbalzo e che quando ripresi conoscenza ero da solo in una specie di landa fiorita, ma libero di muovermi senza costrizioni.

Ancora non capivo che fine avessero fatto tutti gli altri “scartati” ma soprattutto il perché fossi finito in un posto del genere. La situazione iniziava a farmi preoccupare e probabilmente ci avrei continuato a pensare in eterno, fino a che girando per quella pacifica e rosea pianura, mi accorsi di qualcosa che fino a quel punto non avevo visto e che invece era sempre stata li. Un’enorme casa.

La struttura era per una parte del colore del cielo e per il resto si mimetizzava perfettamente con il resto del paesaggio, una struttura perfettamente invisibile! Non vi dico quanto tempo persi per cercare una via di accesso!

Il caseggiato era enorme anche al suo interno, ed era quasi completamente trasparente! La cosa più assurda era che sembrava disabitata da tempo, ma trovai subito qualcuno che mi fece cambiare idea, due esseri umani come me! Un ragazzo e una ragazza asiatici, forse sulla trentina, che mi invitarono a seguirli gesticolando e facendo segno di stare in silenzio.

Mi fecero entrare in una stanza affollata dove c’erano almeno altre 15-16 persone per poi allontanarsi da me e mettersi in un angolo. Tutti i presenti erano impegnati a leggere dei testi o a provare strani esercizi ginnici. Sinceramente non riuscivo a capire cosa quelle persone stessero facendo, cosi mi rivolsi a quello più vicino a me, un ragazzo giovane e di bell’aspetto, con degli occhi azzurri incredibili. Provai con l’inglese, la lingua internazionale per antonomasia, ma la sua reazione fu di disprezzo nei miei confronti e non continuai oltre. Vidi poi i che i due ragazzi asiatici di prima erano gli unici che non si stavano adoperando in qualcosa e provai ad approcciarmi a loro.

Si chiamavano Jun e Akari ed erano rispettivamente Coreano lui e Giapponese lei. Mi raccontarono brevemente di essere morti in un incidente aereo e che come me, erano stati scartati e poi gettati in queste terre soleggiate. Mi spiegarono anche come quel posto fosse in realtà un enorme auditorio, con tanto di teatro per le grandi occasioni e che le persone rinchiuse li, cercavano di comprarsi un posto in paradiso con un’audizione.

“Ahahahahahah”.. Scoppiai in una fragorosa risata che si mescolo con il forte brusio all’interno della stanza! Possibile che tutta l’esistenza oltre la morte si riconduca poi ad un talent show, gli dissi!

DRRRRRRRRIIIIIIIIIINNNNNNNNN DRRIIIIIIIIINNN DRIIIIIIIIIIINNNNN!!!

Quel suono zitti tutti quanti, me compreso! Le porte della stanza si aprirono e le persone iniziano a mettersi in coda e ad uscire.

Jun a quel punto si girò verso di me e disse una frase che mi gelò il sangue: “The show must go on!” E seguimmo la massa fuori dalla stanza.

La nostra passeggiata all’interno di quella enorme casa giunse al suo termine quando fummo accolti in una sala gremita da esseri di ogni tipo, con un enorme palco vuoto e con un gigantesco orologio che svettava sopra a tutto e tutti.

Poco alla volta i ragazzi e le ragazze che erano usciti con me da quella stanza, venivano invitati a salire sul quel palco. Ogni volta che uno di loro iniziava a parlare, l’orologio iniziava a muoversi e alla fine dell’esibizione si fermava, per poi ritornare al punto di partenza. Le esibizioni, sempre se cosi le possiamo chiamare, non erano improvvisate ma studiate e perfezionate con il tempo. Probabilmente molte di quelle persone erano li da parecchio. Non c’erano applausi o golden buzz, le prestazioni venivano valutate in base a un misterioso voto nascosto, forse “magico”. Sta di fatto che per ogni esibizione non vidi mai nessuno essere scelto o premiato, ma dopo essere stati accompagnati dietro le quinte non riapparivano più.

Quando fu il mio turno e non so perchè fummo contati come gruppo, e quindi chiamati in 3 sul palco, la prima cosa che feci fu sbirciare dietro le quinte. Non c’era nulla dietro il tendone che delimitava il retro del palco, niente e nessuno. Le persone si erano magicamente vaporizzate o chissà cos’altro ancora. Jun e Akari erano pietrificati dalla paura, ma dentro di me pensai che se tanto dovevamo sparire senza aver fatto nulla, allora potevo dire giusto due paroline a quella platea.

Appena iniziai a parlare, l’orologio incomincio il suo ticchettio e non mi soffermai molto sulla lingua da usare, la mia andava benissimo. Imprecai, rivolsi loro insulti di qualsiasi genere e tutto il mio odio verso quello che stavano facendo. Alla fine del tempo designato avevo detto tutto quello che mi passava per la testa senza usare filtri, ero soddisfatto della mia prestazione e feci loro un bell’inchino nel più soave dei silenzi.

Gli esseri in platea iniziarono ad alzarsi ad uno ad uno come se volessero applaudirmi, ma non era quello il loro intento. Iniziarono a riversarsi sul palco accompagnati da urla stridenti e fragorosi boati.

Il palco iniziava ad essere cosi affollato che poco a poco fui spinto verso il bordo che dava sulla sala, le urla di coloro che erano rimasti tra il pubblico, quell’accozzaglia di esseri divini e personalità di rilievo o santi se preferite, si fece cosi forte che sentivo le mie orecchie esplodere.

Mentre i miei compagni di disavventure venivano strattonati da quei mostri, io ero stato allontanato dal fulcro della diatriba a colpi di spallate fino a che, trovandomi sul bordo del palco, arrivò il definitivo colpo di di grazia che mi fece letteralmente precipitare a terra.

Cercai immediatamente di tirarmi su per evitare di essere schiacciato dalle decine e decine di creature che riempivano la sala, ma senza risultato. Calci, sputi il mio corpo stava ricevendo di tutto, oltre alle urla incomprensibili che venivano vomitate direttamente sulla mia testa.

Fu in quel momento che, vuoi lo stordimento, vuoi la disperazione, notai con la coda dell’occhio un’angolo della platea che da sopra il palco non avevo proprio visto. In quell’angolo la cosa che mi attraeva di più era una strana luce sospesa a circa 2 metri di altezza di un colore a me familiare.

La calca su di me andava aumentando ma non si resero conto che a poco a poco cominciavano a colpirsi tra di loro e cosi facendo ne approfittai per sgattaiolare fuori da quel agglomerato di calci e pugni.

Erano cosi impegnati a spargere rabbia come un branco di babbuini, da non notare nemmeno che fossi riuscito ad alzarmi in piedi.

La luce era più vicina ma ancora sfuocata, un’occhiata al palco, dove il caos regnava sovrano e i miei compagni di viaggio se la stavano vedendo brutta e un’occhiata alla platea, poi via verso il mio obiettivo… Tutto aveva poca importanza in quel momento, il motivo della mia morte, il viaggio per arrivare sino a li, i miti screditati, le leggende e i falsi dei. Nulla era più importante dello strano desiderio insito nel mio corpo, di raggiungere quella luce.

Accelerai il passo mentre alle mie spalle il vociare si riduceva e la luce della sala si diradava lasciando spazio al buio di quell’antro anch’esso però dilaniato da quella lucente scatola appesa ad una parete, che indicava una sola parola: “EXIT”.

Mi stropicciai gli occhi incredulo e abbassando lo sguardo realizzai… era una porta, un porta d’uscita?

Mi girai di colpo dando un’ultima occhiata in giro, per assicurarmi che nessuno mi stesse seguendo o cercando. Era ancora tutto li, esattamente come pochi secondi prima, tutti stavano continuando a fare quello che erano impegnati a fare e nessuno si era accorto di nulla.

Mi girai nuovamente verso la porta e dopo essermi asciugato frettolosamente la mano su i vestiti, strinsi la manopola con tutta la forza che mi era rimasta e la girai, con il terrore che non sarebbe successo nulla.

“Clack!”

Quello mi sembrava essere il suono più bello mai sentito nella mia vita. La serratura si era sbloccata e la porta era aperta.

Non so quale viaggio mentale la scritta EXIT mi avesse portato a fare per poi sperare in chissà quale miracolo, ma apri la porta e l’attraversai, chiudendola nuovamente alle mie spalle.

Fine (?)

11 commenti su “The Backdoor”

  1. A tratti sono andato avanti con difficoltà. Il soggetto e alcune intuizioni non sono affatto male, ma poco coinvolgenti. A me è parso che l’attenzione si sia focalizzata moltissimo sulla mitragliata di scene e pochissimo sullo studio caratteriale del personaggio. Un esercizio di “azione” che ha i suoi buoni spunti, ma poco preoccupato dello spessore da dare a qualche personaggio. Se riesco proverò a rileggerlo.

  2. Ho adorato l’incipit. Adorato proprio. Per il racconto, ammetto, ho faticato un po’. La forma andrebbe un po’ rivista (ci sono diversi errori) e nel caos in cui si trova il protagonista mi perdo anche io. Ti chiedo: era voluto? Perché se era voluto, ok, ci sei riuscit*. Se, invece, volevi raccontare e mostrare questa confusione, potresti provare ad alternare anche un punto di vista diverso che aiuti a vedere le cose da una prospettiva diversa. Pensaci 🙂

    1. Grazie, sono contento ti sia piaciuto l’incipit iniziale XD. Hai perfettamente ragione sulla forma, più lo rileggevo più ci trovavo errori e non sapevo come fare con il poco tempo rimasto… (ho scelto la traccia il 10 sera e con il lavoro e il resto sono stato un disastro nel mettere giu le idee).
      Ti posso dire che gli obiettivi che mi ero prefissato erano due:
      a) Far si che il “protagonista” alla fine, in qualche modo, desse la sensazione di “non sarà l’ultima disavventura che mi accadrà – stay tuned”. Cioè una cosa tipo “la prossima volta vi racconto la mia nuova fantastica disavventura”…
      b) Cercare di spiegare la confusione che c’è nell’ipotetico aldilà, vista dagli occhi del protagonista.
      La traccia ne parlava in prima persona, dicendo “ehi vi faccio impazzire raccontandovi l’impossibile da me vissuto”… o almeno l’ho interpretata cosi.
      Quindi si era voluto, ma HO ESAGERATO.

      Interessante il tuo consiglio, raccontare da un punto di vista diverso come quello di un altro personaggio che si confronta con il protagonista o proprio una voce fuori campo?

      Grazie ancora per il commento, apprezzo veramente.
      La cosa che volevo far apprezzare ai lettori era la possibilità che ci fosse una “porta sul retro” anche in un ipotetico aldilà e che volendo possiamo trovare una via di uscita anche dalle situazioni più disperate.

  3. Alessandro Pilloni Ser. P

    Devo dire che non mi ha preso molto. L’ho trovata un po’ confusa come architettura e pure come stile. Secondo me la prima persona non ha aiutato. Poi l’aldilà rimane un po’ anonimo. Perché le scritte in inglese? Perché prima denomi, poi situazioni quasi reali come catene? Insomma, per me c’è da lavorare un bel po’.

    1. Ho davvero preso un po troppe idee e riversate tra le righe e sopratutto mi sono ridotto un po all’osso nel scegliere la traccia e quindi ho lavorato un po troppo velocemente con la testa in fase di elaborazione e un po troppo lentamente quando ho dovuto trascrivere…
      La traccia diceva proprio “credetemi: son tutti uguali e tutti stupidi, come tutti i medio graduati… si curano di te solo se hai catene a polsi e caviglie” da cui ho preso spunto ma sopratutto: “vedervi confusi e persi sarà divertente”. Proprio quello mi ha fatto pensare che alla fine lasciare un po tutto e tutti (anche il protagonista) confusi, persino nell’esposizione dei fatti, sarebbe stato attinente alla traccia.
      Quindi si, ti do pienamente ragione sulla confusione generale, non ho fatto un buon lavoro! lo ammetto ahimè XC.
      Per quanto riguarda l’inglese, ho avuto un certo tipo di problema.
      Volevo che fosse internazionale, poiché per il momento l’inglese è la lingua più usata al mondo per comunicare, ma successivamente volevo invece usare un tipo di linguaggio incomprensibile per tutti tranne che per il narratore\protagonista, che mi avrebbe però causato una perdita di tempo e di caratteri per la spiegazione… aaaaaaaafgghsgihg! Non sapevo come comportarmi e alla fine ho fatto vincere “la lingua delle lingue” XD.

    2. Ho davvero preso un po troppe idee e riversate tra le righe e sopratutto mi sono ridotto un po all’osso nel scegliere la traccia e quindi ho lavorato un po troppo velocemente con la testa in fase di elaborazione e un po troppo lentamente quando ho dovuto trascrivere…
      La traccia diceva proprio “credetemi: son tutti uguali e tutti stupidi, come tutti i medio graduati… si curano di te solo se hai catene a polsi e caviglie” da cui ho preso spunto ma sopratutto: “vedervi confusi e persi sarà divertente”. Proprio quello mi ha fatto pensare che alla fine lasciare un po tutto e tutti (anche il protagonista) confusi, persino nell’esposizione dei fatti, sarebbe stato attinente alla traccia.
      Quindi si, ti do pienamente ragione sulla confusione generale, non ho fatto un buon lavoro! lo ammetto ahimè XC.
      Per quanto riguarda l’inglese, ho avuto un certo tipo di problema.
      Volevo che fosse internazionale, poiché per il momento l’inglese è la lingua più usata al mondo per comunicare, ma successivamente volevo invece usare un tipo di linguaggio incomprensibile per tutti tranne che per il narratore\protagonista, che mi avrebbe però causato una perdita di tempo e di caratteri per la spiegazione… aaaaaaaafgghsgihg! Non sapevo come comportarmi e alla fine ho fatto vincere “la lingua delle lingue” XD

  4. Mi è piaciuto. La rapida successione degli eventi e il senso di disorientamento che ne deriva li vedo come elementi che aiutano a entrare nella storia e vederla con gli occhi di chi la sta vivendo. il protagonista me lo sono immaginato proprio così: confuso e strattonato da una situazione assurda all’altra, senza il tempo di capire e dare un senso a ciò che accade. Anche io, come lui, intravedendo una via di uscita l’avrei presa gambe in spalla. Ora però sono curiosa di sapere dove porta quell’uscita!

  5. eheheh avete pienamente ragione! Sorry!
    E’ la prima volta che mi metto in gioco seguendo una traccia. E che traccia oserei dire!
    Appena l’ho letta mi sono venute in mente davvero una carovana di idee, ma soprattutto il finale è stato immediato, nella mia testa.
    Devo imparare davvero a concentrare e a ritagliare le idee, altrimenti faccio un altro disastro XD.
    Ci riproverò con il prossimo “gioco”.
    Grazie per i commenti, sempre utili e ben graditi!

  6. Premesso che ho un debole per le storie con i morti, ho trovato questa storia abbastanza fluente ed interessante ma anche un pochino caotica. Forse come ha scritto DBONES succedono tante cose.

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