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Il figlio di Jark

Un racconto di EliseoPalumbo

Cassari si chinò sulle rocce e buttò uno sguardo nella fenditura dove era caduto suo fratello. Lanciò una pietra che non emise nessun rumore.

“Deve essere molto profondo” pensò la bambina prima di cercare aiuto.

Arrivata al villaggio cercò la madre, non riusciva a trovarla. Girò intorno al cerchio di uomini e raggiunse suo padre; Jark l’abbracciò sorridente e la riempì di baci. La bambina cercò di divincolarsi dall’abbraccio e chiese: «Dov’è la mamma?»

«Non lo so, guarda nella grande tenda.»

«Vado» annuì la piccola.

«Dove si è cacciato tuo fratello? Digli di venire con gli uomini.»

Cassari ignorò il padre e trotterellò alla ricerca della madre.

Yoni, svogliata, stava dando una mano alle altre donne nella preparazione delle portate quando si sentì tirare la gonna, guardò in basso e riconobbe la figlioletta: «Cosa ci fai qui, Cassari? Perché non sei con tuo fratello.»

«È sprofondato in un buco.»

Yoni divenne livida, lasciò la tenda con la figlia per mano e si fece accompagnare sul posto, constatò la gravità della situazione e con una mano alla fronte, alzando lo sguardo al cielo, urlò contro la luna decrescente.

«Che facciamo, mamma?» cinguettò Cassari.

«Cerchiamo tuo padre.»

Yoni si diresse a grandi passi verso Jark, si abbassò alle sue spalle e bisbigliò qualcosa all’orecchio. L’uomo smise di ridere, corrugò la fronte guardando Zorak.

«Che succede», chiese il vecchio capo del villaggio, «qualcosa non va?»

«Ho bisogno di parlarti.»

Ascoltato pazientemente il resoconto dei due genitori sull’orlo della cavità, Zorak disse: «Non so come aiutarvi. Le rocce sono piene di cavità, collegate tra loro in un enorme labirinto sfociante nella Grotta dei delfini, da cui l’isola prende il nome. Solo un nostro lontanissimo antenato riuscì a raggiungerla e poi a venirne a capo, chiunque si sia inoltrato non ha mai fatto più ritorno. La grotta è diventata leggenda. Vostro figlio è perso, mi dispiace.»

Jark sentì il sangue bollire nelle vene, un cerchio alla testa compresse tutta la sua razionalità, afferrò il vecchio per i lunghi baffi e lo strattonò fino a farlo sporgere sul precipizio.

Suo figlio non poteva essere perso, stava facendo di tutto per salvarlo, era pronto anche a uccidere per lui. L’amore per i suoi figli e per sua moglie era l’unica cosa che lo rendesse vivo, che gli desse un senso, un motivo per alzarsi la mattina e vivere. Non poteva accettare che tutto quell’amore si fosse rivoltato contro, causando la perdita di suo figlio.

«Tu ci aiuterai a ritrovarlo, oppure giuro sugli Dèi che…»

Jark fu interrotto dagli uomini del villaggio che si erano messi alla ricerca di Zorak. Lo afferrarono da dietro, due di loro tenevano Jark immobile contro una roccia appuntita, mentre gli altri si accertarono delle condizioni del capo del villaggio aiutandolo a rimettersi in piedi.

Jark, Yoni e Cassari furono accompagnati fin dentro la loro tenda, imprigionati, mentre quattro nerboruti facevano da carcerieri stanziando all’ingresso.

L’uomo era in preda alla disperazione. Batteva forte i pugni contro il suolo.

Ignaro degli avvenimenti sulla superficie, e noncurante della difficoltà in cui si trovasse, il figlio di Jark si distese prono, sporgendo il busto sullo specchio d’acqua, a giocare con il delfino. Lo carezzava sul rostro e osservava divertito le mirabolanti evoluzioni.

Il ragazzo udì provenire un risolino da un angolo della grotta, si voltò in quella direzione e dalla penombra venne fuori una ragazzina, poteva avere circa l’età di sua sorella Cassari, lunghi capelli corvini, occhi smeraldo, gote rosse, vestita di alghe.

«Chi sei?»

«Un’amica.»

«Io non ho amici qui» rispose secco il ragazzo.

«Non è mai tardi per cominciare» rispose la ragazzina con un tono talmente saggio da stonare con l’età che aveva.

«Be’, proviamo allora.»

«Ottimo.»

«Sai dirmi dove sono finito?»

«Certo, questa è casa mia e di Dolf.»

«Dolf?»

La ragazzina indicò il delfino.

«Sai come posso tornare la su’?» chiese il ragazzo indicando le rocce in alto.

«Be’, arrampicarti è difficile, non sono certa che riusciresti a districarti nell’oscurità tra le gallerie del labirinto.»

«Non mi sei d’aiuto»

«Una soluzione ci sarebbe, ma non credo che tu sia all’altezza dell’impresa.»

«Perché no?» chiese indispettito.

«Dovresti nuotare sott’acqua, per diverse leghe e i tuoi polmoni non sono abbastanza capienti per immagazzinare aria a sufficienza.»

«Dovrà pur esserci un altro modo.»

«Perché non vuoi restare? Ci divertiremo, te lo prometto.»

«Devo tornare dai miei genitori, saranno in pensiero. Poi non appartengo a questo posto.»

«Capisco» disse l’altra sedendosi vicino a lui e immergendo le gambe fino al ginocchio.

«Hai detto che vuoi essere mia amica, no? Aiutami. Ricambierò il favore. Te lo giuro.»

«Sei sicuro di volerti legare a me con una promessa tale?»

«Certo.»

«E se un giorno dovessi chiederti di uccidere qualcuno, come ricambio del favore, tu lo faresti?»

«Uccidere? Non mi sembri il tipo.»

«Tu non mi conosci, amico mio.»

«Nemmeno tu, amica mia» la sfidò il giovane.

«Quindi? Vuoi veramente legarti a me?»

«Quale altra alternativa avrei?»

«A pensarci bene nessuna. D’altronde meglio legarti a me che a Xenxo, perlomeno io ti sto salvando la vita, non credi?»

Il ragazzo si tirò indietro chiedendosi come facesse a sapere di Xenxo. «Chi sei?»

«Voi umani e la vostra fissa per i nomi. Il mio nome è Xaxe.»

Il ragazzo, che era stato istruito fin da quando era in fasce sulla religione e le divinità tutte, balzò in piedi e fece qualche passo indietro. «Non può essere. Sei solo una bambina, tu ti prendi gioco di me.»

«Tu credi?» chiese la dea del mare. Con un gesto secco della mano divise l’acqua in due colonne. Il delfino saltava divertito da una parte all’altra.

«Non ci posso credere» disse il ragazzo spalancando la bocca.

«Aspetto ancora una risposta.»

Annuì.

Xaxe si mise in piedi, le colonne d’acqua si riunirono, si avvicinò al ragazzino, gli impose le mani sul capo e una bolla gli avvolse la testa. «Ecco fatto, con questa potrai respirare sott’acqua per tutto il tempo della traversata. Dolf ti guiderà fino all’uscita della grotta, poi dovrai cavartela da solo. Intesi?»

«Tutto chiaro.»

«Non dimenticare la tua promessa, mi appartieni», disse la dea con ancora le sembianze da bambina ma con sguardo torvo, «ora buttati in acqua e aggrappati alla pinna di Dolf.»

Il figlio di Jark eseguì l’ordine. Lo specchio d’acqua all’interno della grotta era molto profondo, con decisi colpi di pinna il delfino raggiunse l’uscita e fu affiancato dal suo branco: decine di delfini seguivano il loro capo emettendo minacciose onde sonore, il loro unico scopo era proteggere il ragazzo. La nuotata continuò attraverso lunghe spelonche. Poco prima dell’ultimo cunicolo, la bolla d’aria sbatté contro una roccia acuminata ed esplose. Il ragazzo si ritrovò senza fiato. Dolf, con un brusco movimento, lo fece smontare dalla groppa. Il figlio di Jark indicò la sua faccia e iniziò a sbracciarsi verso l’alto; lo sbalzo pressorio tappò orecchie e naso del ragazzo, che provò dolore, aprì la bocca e ingurgitò acqua salmastra.

Xaxe aveva avuto ragione, la prova sarebbe stata molto difficile per lui, era andato incontro alla morte, senza nemmeno rendersene conto fidandosi di una sconosciuta e dei suoi mezzi. Il ragazzo non pensò più di tanto, si fece mettere spalle a muro, in una situazione di univoca direzione.

Adesso il suo corpo galleggiava sulla superficie del mare sospinto dalle onde in direzione della spiaggia.

Il figlio di Jark sputava acqua, nonostante i suoi vestiti fossero asciutti; non riusciva a capire dove fosse, gli mancavano punti di orientamento. Alzò lo sguardo verso il cielo, non c’era né luna né stelle, soltanto una cortina nera. Il terreno era arido, grigio, liscio. L’oscurità lo avvolgeva ma riusciva ugualmente a vedere. Fece un giro in torno a sé stesso quando la sua attenzione fu attirata da un maestoso portone. Si incamminò.

A ogni passo quell’ingresso diventava sempre più abominevole; dal suo interno provenivano voci indistinte. La pelle d’oca affiorò. A pochi metri dal portone poté intravedere due figure: alti due metri, dalla pelle verde, possenti zanne rivolte verso l’alto che sporgevano dalla mandibola, armati di lancia e scudo, le abnormi teste erano chiuse in stretti elmi, torso nudo scolpito, muscolose gambe uscivano dall’orlo inferiore del loro gonnellino nero ricamato con squame di drago.

Uno dei due orchi adocchiò il ragazzino. «Cosa ci fai qui, cucciolo d’uomo?»

La voce gutturale della guardia mutò colpì il figlio di Jark. La schiena fu percorsa dai brividi. Il ragazzo tossì acqua.

«Annegato» asserì il secondo guardiano.

I due gli fecero cenno con le lance di entrare. Il ragazzo, mesto, ubbidì. Un vento forte e veloce lo travolse sollevandolo dal suolo. Il ragazzo turbinava a mezz’aria, cercava di sbracciarsi, di ritrovare l’equilibrio: era tutto inutile. Decise di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare. Un conato di vomito, aprì la bocca e buttò fuori ancora nera acqua salmastra. Gola e naso gli bruciavano, non respirava, provò a portare una mano al cuore, nessun sussulto. Tirò un sospiro, aprì gli occhi. Era sospeso a testa in giù, cercò di divincolarsi ma le caviglie erano come impigliate in una stretta invisibile, si piegò su sé stesso, le afferrò, tirò forte, voleva liberarsi a tutti costi. Quando la morsa si allentò, il ragazzo precipitò con la schiena al suolo. Non provò dolore. Si osservò le mani: erano diafane, intorno al suo corpo una flebile dissolvenza, non riusciva a interpretare tutti quei segni. Forse stava sognando.

«Un cucciolo d’uomo? Cosa avrà mai fatto di male per essere stato spedito qua giù?» chiese una voce profonda, dalle molteplici tonalità.

Il ragazzo guardò dritto a sé restando a bocca aperta. Uno scranno, intarsiato da una moltitudine di teschi. Un essere dalle pelose gambe di gazzella, pelle blu lucente, pettorali e addome scolpiti, braccia membrute, mani dalle unghia appuntite che reggevano la testa, staccata dal collo, pelata, con un paio di corna attorcigliate che sporgevano dalla fronte. Il capo era incorniciato da folte basette grigie, aveva labbra nere, denti aguzzi bianchi, occhi color oro.

«Che hai da guardare così, umano? Siete voi ad avermi creato, anzi, ad aver creato tutti gli Dèi. La vostra debolezza, suggestione e soggezione, il bisogno di spiegare gli eventi normali, naturali, vi hanno portato a fantasticare su chissà quali grandi forze o esseri sovrannaturali fossero la causa di tutto ciò. Qualcuno credeva che il sole fosse l’occhio di un Dio, la luna il medaglione di un altro, il vento il loro soffio, e via dicendo. Ci avete sognato, ci avete anelato e creato dandoci questo immenso potere, questa grande incombenza di giudici ed esecutori, senza motivo alcuno. Se te lo stessi chiedendo, la risposta è sì, mi avete dato voi questo orribile aspetto.»

Il ragazzo ascoltava rapito, si sedette comodo sul terreno arido.

«Cosa fai adesso? Questa non è una lezione di religione, rialzati al mio cospetto.»

«Come desideri, Oxxuxo, Dio del Sottosuolo demoniaco.»

«Sai chi sono? Bene, mi compiaccio.»

«Io non ti trovo orribile.»

Oxxuxo trasalì. Ricompostosi velocemente si piegò in avanti e chiese: «Non ti faccio paura?»

«No, ti trovo simpatico.»

«Questa è bella, simpatico. Il loro carnefice eterno, simpatico. Mi metterei a ridere, se solo voi me ne aveste dato l’opportunità. Purtroppo nelle vostre leggende io non conosco la felicità, ad ogni modo pensiamo alla tua punizione. Qual è l’ultima cosa che ricordi?»

«La Grotta dei delfini, la nuotata con Dolf, la bolla che si rompe.»

«I delfini dice, capisco. Ne ha fatto annegare un altro» disse a sé stesso.

«Un altro?»

«Lasciamo perdere cucciolo d’uomo. Così giovane e già spacciato, condannato. L’eternità è un tempo davvero lungo, non hai nemmeno idea di quanto possa durare. A essere sincero non lo so nemmeno io, ma d’altronde così dicono.»

«Perché sono finito qui? Sono morto?» chiese triste il ragazzo.

«Già» disse Oxxuxo alzandosi e iniziando a camminare verso il giovane ragazzo. A ogni passo diventava sempre più basso. Il figlio di Jark constatò che il dio del Sottosuolo era alto circa quanto suo padre.

«Seguimi» ordinò il dio.

I due iniziarono a camminare, porte si spalancavano dal nulla e atroci urla riempivano le orecchie del ragazzo.

«Sai perché queste povere anime sono disperate?»

«Posso immaginarlo.»

«Invece non puoi, perché voi esseri umani vi siete presi in giro. Avete creato gli Dèi con le loro dimore; secondo la vostra stupida superstizione le anime dei “buoni” andranno a vivere nella dimora del Dio a cui sono devoti. Davvero molto bello, nobile oserei dire, ma avete creato delle dimore troppo piccole per ognuno degli Dèi, talmente piccole che sono bastevoli a loro stessi e nessuno più. Sai qual è l’unico Dio con una casa talmente ampia e vasta da potere avere degli ospiti?»

«Tu, Oxxuxo.»

Il dio del Sottosuolo demoniaco lo guardò per un breve istante. «Esatto! Perché il mio luogo di tormento è grande quanto il mondo intero. Maledetti umani», guardò nuovamente il ragazzo, «niente di personale nei tuoi confronti ovviamente, tu sei colpevole in minima parte.»

«Sei veramente spassoso» disse il figlio di Jark sorridendo.

«Spassoso. Io sono disperato. Mi danno noia e il tormento. Piuttosto che ringraziarmi per concedere loro un pezzo della mia dimora cosa fanno? Implorano i loro Dèi, si chiedono cosa abbiano fatto di male per essere finiti qui. Ve lo dico io cosa avete fatto di male», urlò Oxxuxo allargando le braccia e rivolgendosi a tutti i dannati, «ci avete creato! Non dovevate farlo, idioti! I miei fratelli e sorelle, hanno ben deciso di mandarvi qui, da me, a torturarmi, il vero carcerato sono io. Quanto vorrei morire, sparire per sempre, non sentire più le loro lamentele.»

«Be’, puoi sempre prenderti una pausa.»

«Questa è bella. Una pausa.»

«Le anime sono imprigionate, non fanno altro che piangersi addosso, non hanno idea di come venirne fuori, aspettano un aiuto divino.»

«Continua, cucciolo d’uomo.»

«Secondo me potresti uscire da questo posto, guardare il mondo la’ fuori e rientrare per cena.»

«Rientrare per cena? Dovrei comportarmi come voi allora, abbandonare le mie responsabilità, pensare a me stesso, essere un egoista?»

«Sei un po’ drammatico, ma in linea di massima, perché no.»

«Perché è da sciocchi, un consiglio veramente puerile.»

«D’altronde sono un ragazzino, in noi risiede la purezza d’animo, dicono i Sacerdoti, bisogna guardare il mondo con i nostri occhi, lasciarsi meravigliare, sorprendere, continuare a sognare. Non desiderare di morire.»

«Mi hai convinto.»

Mai avrebbe immaginato di lasciarsi sorprendere da un mortale, un cucciolo poi. Non aveva mai valutato quella opzione, era finito con il comportarsi esattamente come le anime imprigionate nella sua dimora con la differenza che le sue catene erano il continuo lamento, la rassegnazione e l’abbandono. Adesso però stava decidendo di liberarsene e di provare qualcosa di nuovo. Voleva esplorare anche lui quel mondo che fino ad allora gli era stato soltanto raccontato dai suoi fratelli e sorelle nelle loro sporadiche visite, incentivando la sua rabbia nei confronti degli uomini.

Il dio del Sottosuolo demoniaco si fermò, si voltò verso il figlio di Jark. «Andiamo, cucciolo d’uomo. Mostrami il vostro mondo.»

Il figlio di Jark sorrise e strinse la mano di Oxuxxo mentre sull’altra galleggiava il cranio del dio.

3 commenti su “Il figlio di Jark”

  1. UN argomento davvero interessante, concordo con Miss.
    Non trovo una ridondanza fastidiosa nelle descrizioni, e provando a immaginare un prodotto per i lettori più giovani, credo che siano letture finalizzate anche ad allenare la costruzione reale di un mondo semplicemente descritto, quindi utili.

    più vicino alla nostra ricerca degli altri. A me ha interessato!

  2. Un viaggio catartico quello di cui tu parli. Un viaggio compiuto da un bambino attraverso mondi onirici, sognati e resi reali per necessità; un viaggio che gli consentirà di ritrovarsi consapevole delle debolezze umane e della effimera esistenza di false divinità.
    Interessante l’argomento anche se non proprio originale.
    Devo purtroppo segnalarti alcuni refusi (chi ne è immune scagli la prima pietra) che infastidiscono il lettore. Inoltre la punteggiatura non è sempre attenta e puntuale. Una rilettura più accurata, te la consiglio, prima della pubblicazione.
    In generale abbastanza scorrevole la lettura. Trovo che, talvolta, nelle descrizioni sei stato ridondante, altre volte, invece, mi sarebbe piaciuto entrare di più nello specifico. Ad maiora, Eliseo e buon fine settimana.

    1. Ciao! Grazie per l’attento commento. Il mondo descritto non é onirico e non ci sono false divinità. I personaggi si muovono all’interno di un mondo fantasy ideato così. Questo racconto fa parte di un qualcosa di molto più lungo. Quali sono le descrizioni ridondanti?

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