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6 – La regina nera era sola al tavolino di un bar, da sotto il portico osservava la fiumana d’uomini e donne e bambini formare gorghi e correnti stravaganti sul letto della piazza. Ne era certa, alcuni bianchi si erano già ritrovati e avevano cominciato la caccia anche senza la loro Madonna. La partita era già iniziata e lei era ancora sola e non sapeva niente dei suoi pezzi, neanche di quel pigro del re. Doveva muoversi, ma non dentro quella ressa, dove Cavallo e Torre spiccavano idioti come due boe arancioni in un mare calmo.

Un vigoroso squillo di campanello la svegliò. Ma quando si era addormentata? Il film alla tv non aveva più alcun senso e la tisana appoggiata sul bracciolo era ormai fredda. Un secondo, lunghissimo, squillo interruppe il suo treno di pensieri e la costrinse ad alzarsi dal divano. SI affacciò alla finestra ma non vide nessuno. Pensò ad uno scherzo, ma aguzzando la vista notò un piccolo pacchetto, appoggiato sul muretto della recinzione, tra le gocce di pioggia.

Prese le pantofole e si avvicinò alla porta, cercando di ricordare cosa avesse ordinato. “Neanche la decenza di aspettare”, borbottò, “Spero non sia nulla di importante, lasciato lì sotto all’acqua ad annegare, vorrei vedere se fosse roba loro!”

Si buttò addosso una cerata e corse a prendere il pacchetto, lo scrollò per bene, cercando di togliere più acqua possibile e lo portò nell’ingresso.

“Per la Regina Nera”, questo era scritto sul pacchetto. Probabilmente un errore… Ma il resto dell’indirizzo era scritto correttamente.

Aspettò qualche istante e poi lo aprì. Dentro al pacchetto c’era un piccolo pezzo di carta e un pezzo degli scacchi, una donna nera.

Lesse le righe scritte, a mano, sul biglietto, c’erano scritti un indirizzo e un orario.

Il telefono della donna squillò, numero sconosciuto. Lei rispose, quasi d’istinto e una voce di uomo parlò: “Salve, Regina Nera, vedo che ha ricevuto il mio regalo. L’aspetto domani all’indirizzo e all’orario stabilito.”

La Regina Nera provò a biascicare qualche parola, ma l’uomo aveva già riattaccato.

Posò il telefono con le mani che le tremavano, ancora frastornata da quella chiamata inattesa, chi era? Come aveva avuto il suo numero? Compose il numero della polizia, ma prima di premere il tasto verde si fermò a riflettere, che cosa mai poteva raccontargli? Di certo, quello era uno scherzo, era inutile far perdere tempo alla polizia, che di certo aveva ben altro a cui pensare.

Tornò a sedersi sul divano, ma passò il resto della sera e della notte a pensare a quello che le era successo.

La mattina successiva si svegliò molto stanca, aveva dormito poco e male. Quello scherzo l’aveva davvero turbata, quando avesse scoperto il responsabile gliel’avrebbe fatta pagare carissima. La giornata caotica, trascorsa tra le sue amate scartoffie, però, le fece dimenticare almeno per un po’ quello strano evento, fino al momento in cui avrebbe dovuto presentarsi all’appuntamento.

Guardò per curiosità la strada che avrebbe dovuto percorrere per raggiungere il luogo indicato, poco più di cinque minuti a piedi, e per un istante quasi pensò di andare, ma ci ripensò altrettanto velocemente.

Camminò verso casa, dopo il lavoro, quasi sollevata, come se l’aver mancato l’inquietante appuntamento l’avesse messa in salvo da un’indefinita minaccia.

Entrò in casa, posò distrattamente la borsetta e il cappotto sull’attaccapanni, si sfilò i vestiti di dosso lungo il corridoio e si infilò diretta sotto alla doccia. Tanto velocemente era entrata che aveva scordato di togliere gli occhiali e ora non vedeva altro che una fitta nebbia davanti a sé. Aprì la porta e a tastoni trovò il ripiano del lavandino su cui appoggiare gli occhiali. In mezzo al vapore però un dettaglio attirò la sua attenzione, un origami rosa acceso, dalla forma di una gru era appoggiato a poca distanza.

Lo prese con le mani ancora bagnate e lo aprì: “Che delusione non vederti oggi,” recitava, “ultima possibilità, domani, stesso luogo, stessa ora, altrimenti il mio prossimo messaggio per te sarà inciso su una lastra di marmo.”

Il sangue della regina si gelò. Qualcuno era entrato in casa sua e aveva lasciato quel messaggio per lei. Corse a controllare porte e finestre, ancora nuda e gocciolante, tutte chiuse, nessun segno di effrazione. Se questo era uno scherzo, aveva passato il limite. Prese il telefono e compose il numero della polizia, ma venne interrotta dalla vibrazione di un messaggio: “Non chiamarli, ti prenderebbero per pazza!”. La Regina Nera urlò e dallo spavento lasciò cadere il telefono. Ansimava, era in preda al panico.

Il giorno dopo, puntualissima, si presentò al luogo indicato. Con sua grande sorpresa, si trattava di un cinema. Si avvicinò alla biglietteria, ma un signore sulla settantina, da dietro il vetro le disse che erano chiusi. La donna chiese scusa e si girò, poi, come illuminata da un’intuizione, mostrò il suo pezzo al vecchio, che le sorrise e le fece cenno di passare con un leggero inchino.

La donna si sedette in sala, c’erano una decina di persone sedute sparse per la sala e altre arrivarono poco dopo. Quando si spensero le luci erano in 16 esatti.

La pellicola del film era consumata e la macchina, analogica, faceva tanto rumore.

La Regina riconobbe subito, dalle prime scene, il Settimo Sigillo. “Scelta abbastanza ovvia, ma certamente ad effetto”, pensò tra sé. Amava quel film, e per un po’, guardarlo la tranquillizzò.

Dopo qualche minuto, però, la pellicola si interruppe. Una voce uscì dalle casse della sala: “Se siete qui è perché siete stati scelti per partecipare ad un piccolo gioco. Ognuno di voi possiede un pezzo degli scacchi, un pezzo nero, per essere esatti. Tutto ciò che dovete fare è proteggere il re nero e uccidere il re bianco. Se il re nero muore, voi tutti sarete eliminati, se il re bianco muore sarete risparmiati e ricompensati. Se parlerete con qualcuno di questo gioco, sarete allo stesso modo eliminati. Non potete fidarvi di nessuno se non di voi stessi.”

Finita la frase, la macchina da presa ricominciò a girare e a mostrare dei volti sullo schermo. Ad ogni volto corrispondeva il nome del pezzo assegnato. C’erano i volti di tutti i bianchi, ad eccezione del re.

Qualcuno dalla sala urlò: “È ridicolo! Non ho intenzione di prestarmi a questa farsa.”

“Ma ne va delle nostre vite!” esclamò Cavallo.

“Si tratta di gente come noi, gente comune, non è gente che va in giro ad ammazzare persone per gioco!” ribatté Torre.

“Purtroppo vi sbagliate” la Regina prese la parola “conosco almeno tre di quelle persone e sono assassini senza pietà.”

“Come lo sai?” chiese un Pedone.

“Perché ero il loro avvocato quando sono stati condannati” rispose Regina, “Se sono liberi ci verranno a cercare e ci uccideranno, anche solo per divertimento.”

“E presumibilmente saranno già sulle nostre tracce, ogni giocatore di scacchi sa che il bianco muove sempre per primo”, suggerì Re.

“Siamo nella merda” esclamò un altro Pedone.

“Fino al collo, fratello” gli fece eco un altro Pedone.

“Dobbiamo ammazzare il fottuto re” suggerì una Torre.

“Ma abbiamo un problema, non sappiamo chi sia” puntualizzò Regina.

“Che figli di puttana. Non gli basta innescare una caccia assassina, vogliono vederci mentre li torturiamo. Nemmeno la minaccia della morte potrebbe far confessare il nemico, perché confessare vuol dire morte certa.”

“Alfiere ha ragione,” disse Torre, “ma ci penseremo a tempo debito. Prima dobbiamo catturare un bianco. Regina, devi recuperare i nomi dei tre che conosci e farti dire come trovarli”

“A proposito di nomi, credo sia meglio che nessuno conosca i nomi degli altri, tantomeno di Re”, propose Alfiere.

“Assolutamente d’accordo, ma ci serve un modo per comunicare”, sottolineò Torre.

“Niente social, niente numeri di telefono… non sarà facile.”

“Ma siete davvero convinti di voler portare avanti questa follia?” Una voce di un pedone si levò dal fondo della sala, “Io me ne vado, non ho intenzione di far parte di questa cazzata.” e si diresse all’uscita.

Ad un tratto un sibilo, appena percettibile, ruppe il silenzio, seguito dal tonfo sordo del corpo del pedone che cadeva rovinosamente a terra. Nemmeno il tempo di realizzare l’accaduto che i telefoni dei presenti vibrarono all’unisono: “Pedone D7, ELIMINATO.”

8 commenti su “Scacco matto”

    1. Beh, si, la televisione volente o nolente ci influenza sempre e qui c’è un po’ di Squid Game nell’idea di base e un po’ di Saw, ma ormai il tema dell’horror psicologico è stato affrontato talmente in tante sfumature che è difficilissimo inventare qualcosa che non esista affatto, i temi bene o male sono quelli 🙂

  1. Ho apprezzato l’originalità nello sviluppo della traccia e ammetto di aver provato empatia con la protagonista. La storia è forte, molto interessante anche un possibile sviluppo, visto che l’autore/l’autrice ci lascia con l’acquolina in bocca dopo aver messo in forno la torta. Non ci sazia, e questo è un bene. A mio gusto, qualche sbavatura nella forma, che potrebbe essere ulteriormente ripulita. Buona prova, brav*!

    1. Grazie per i complimenti, volevo ricreare una situazione più “normale” possibile per creare empatia, contento di esserci riuscito. Dal punto di vita della forma, concordo, qualcosa si poteva fare meglio, me lo sono riletto alcune volte e penso di aver identificato alcuni punti in cui migliorare, grazie.

  2. Complimenti, degno di un horror psicologico vecchia scuola, che personalmente apprezzo molto, malgrado gli incubi che mi provocano. Mi piace il fatto che la protagonista, pur essendo descritta come Regina Nera fin da subito, non sa ancora di esserlo e neppure chi legge sa che lei non sa. Bello!

    1. Ciao, grazie per le belle parole, in effetti volevo provare a scrivere dal punto di vista di un narratore onnisciente che racconta conoscendo ovviamente tutto lo svolgimento futuro perché non l’ho mai fatto prima. L’idea è di sfruttarlo per anticipare dettagli che magari sul momento sono di poco conto ma alla fine si incastrano con gli eventi futuri. Nulla di nuovo, per carità, ma se sono qui è anche per sperimentare e provare cose nuove. 🙂

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