Vai al contenuto

Ossicino e l’Orologio Sepolcrale

Un racconto di DBones

Il vento sferza la terra brulla, raccoglie sassolini minuscoli per sparpagliarli in ogni direzione. Senza Nome urla. Si stropiccia gli occhi. Non ha memoria. Il suo ieri è vuoto. Sordo. Adesso le sue orecchie ascoltano suoni. Acciaio. Lame che stridono.

«Ossicino, sembra che là in fondo ci sia una bella battaglia.»

Senza Nome si volta nella direzione da cui gli sembra sia provenuta la voce. Un uomo vestito di nero. Una bombetta appiccicata a una testolina dalla chioma scura come torba. Sorride. Labbra storte.

«Battaglia?» domanda Senza Nome, lo sguardo fisso sullo strano figuro che ha di fronte.
Signor Bombetta sbuffa. Infila una mano nella tasca del completo elegante che indossa. «Sì, è quello che ho detto.» Rigira tra le dita un minuscolo fantoccio. Un uomo in miniatura. Signor Bombetta accarezza il fantoccio e un brivido improvviso attraversa il corpo di Senza Nome, un bruciore feroce all’altezza dei polpacci. Si abbassa per massaggiarli, ma le sue unghie incontrano il metallo di un’armatura. Ferro lucente che gli ricopre arti e torace.

Senza Nome inspira un sorso di aria putrida. Un posto che non conosce. Puzzo di zolfo. Lontano, ma non troppo.

«Tutto questo è assurdo! Io non…oh, cazzo!»

Signor Bombetta solleva gli occhi al cielo. «Assurdo?! Per i sette demoni dell’Oblio, hai già scordato il nostro patto?»

Senza Nome scuote la testa, accartoccia la fronte. «Patto?»

Signor Bombetta si gratta il mento. «Mmmh, potrebbe essere un effetto del prezzo che hai pagato.»

Senza Nome vorrebbe replicare, ma l’espressione torva che legge negli occhi scuri di Signor Bombetta gli fa dimenticare quello che voleva dire. Il vuoto. L’amnesia. I rumori che aveva sentito poco prima tornano a ferirgli i timpani con rinnovata ferocia. Urla e grida tra la polvere. La battaglia: Senza Nome adesso la vede bene.

«Vinci e ti spiegherò tutto,» il sorrisetto sghembo persiste sul viso di Signor Bombetta, «perdi e… ma che importa, la seconda ipotesi non è contemplata. Giusto, Ossicino?»

«Ossicino?! Perché continua a chiamarmi così? Chi diavolo è lei?» Forse la vera domanda che vorrebbe porre è “Chi sono io?”, ma il tempo è tiranno. Il fato di Senza Nome ha le sembianze di un omone barbuto che si fa strada tra decine di figure impegnate nella battaglia. Brandisce un’immensa lancia e la fa volteggiare ferendo l’aria e condendo la polvere con spruzzi di sangue e stracci di membra.

Signor Bombetta ridacchia, e Senza Nome vive emozioni in bilico tra furia e repulsione. Non vorrebbe credere ai suoi occhi, ma gli sembra che l’enorme guerriero stia puntando verso di lui. Scorge lo spazio tra i denti marci. Nero come l’Oblio. Le gambe di Senza Nome tremano. Signor Bombetta ha smesso di ridere.

«Il tuo sfidante è bello agguerrito. Spero che tu lo sia altrettanto, Ossicino. I giochi stanno per cominciare. Sei pronto?»

Ossicino non è pronto, perché Ossicino non è il suo nome. Lui non ha un nome. Lui è Senza Nome. Un orfano di memorie. Lui è nessuno, le emozioni non dovrebbero appartenergli. Eppure il terrore gli sgranocchia il bassoventre, e il sudore gli imbratta la fronte.

«Dovrei combattere contro quel mostro? No cazzo. No, no, NO!»

«Sembra che tu non abbia molta scelta, ragazzo.»

Senza Nome studia la strana armatura che indossa con urgenza; non gli interessano le fini cesellature e la disposizione delle placche che ricordano le squame di un serpente. Non ha un’arma, non ha nulla per opporsi alla furia barbuta che sta spazzando via uomini come fossero spighe di grano. La fuga è l’unica soluzione accettabile. Si volta. Piega le ginocchia per quanto gli permettono i gambali. Si prepara allo scatto, non si sarebbe guardato indietro.

Un improvviso dolore alla guancia sinistra lo fa cadere per terra. Spalanca gli occhi su un impassibile cielo terso. Un’ombra che scambia per quella del gigante.

«Non costringermi a obbligarti a rispettare il nostro patto, ragazzo» lo rimbrotta Signor Bombetta con un’espressione che gli fa gelare il sangue a dispetto del caldo. Il minuscolo viso del fantoccio che stringe tra le dita sta oscillando. Una volta. Due volte. Si ferma. Il dolore alla guancia svanisce.

«Ma che cazzo di magia è questa?» Senza Nome si alza; teme che il suo cervello non possa sopportare tutto quel carico di misteri. Il dolore adesso è scomparso, ma era reale. Dolorosamente reale.

«Vedi di moderare i termini, per i sette demoni dell’Oblio! O la prossima volta non sarò così delicato. Puoi credermi se ti dico che potrei farti molto più male.» Scuote il fantoccio. Senza Nome si piega sulle ginocchia, ma stavolta non c’è intenzione di fuga nei suoi pensieri. Rigetta i resti di un pasto che non ricorda di aver mangiato.

«La prego, signore, farò tutto ciò che vuole, ma ho paura!»

«La paura è una cosa buona. Tienila sotto controllo e vincere sarà un gioco da ragazzi.»

Senza Nome è sconcertato e il non comprendere il motivo per cui si trova lì non fa che aumentare il suo disagio. «Quello è un gigante! Mi schiaccerà come un insetto.»

«Giovane ragazzo, non ho mai detto che lo affronterai in un corpo a corpo.» Gli porge un piccolo oggetto. «Ogni eroe ha bisogno della sua arma.»

«Io sarei un eroe?»

«Certo, hai qualche dubbio?»

Senza Nome osserva l’oggetto che gli ha consegnato Signor Bombetta. «Una fionda?»

«A voler essere pignoli, si tratta di una sfràmbla, ma non è certo il momento di perdersi in sottigliezze. Ho già provveduto a caricare la sacca con un bel proiettile di piombo. Prendi bene la mira, Ossicino, e colpisci!»

Senza Nome solleva la sfràmbla, ride e trema allo stesso tempo. Il barbuto ha fatto piazza pulita di tutti gli uomini che avevano provato a fermarlo, che può sperare di ottenere con un’arma che è poco più di un giocattolo?

«Concentrati, Ossicino. Non ingabbiare la paura, controllala.»

Senza Nome inspira. Il puzzo di zolfo è sempre presente. Il gigante si avvicina. Gli enormi piedi calzati di cuoio scuotono la terra. La barba nera striata d’argento. La lancia. Il sudore e il sangue.

Senza Nome è pronto a scoccare il proiettile; per quanto gli sembri inutile, non ha altro su cui fare affidamento.
Controlla la paura

Un raggio di luce si infrange sull’elmo del gigante. Senza Nome è costretto a chiudere gli occhi. Li riapre. La punta della lancia è a pochi metri da lui. Il gigante ghigna sfidandolo. Spazio nero tra i denti. Senza Nome controlla la paura e scaglia il proiettile.

***

Braccia che lo scuotono, gentili ma forti.

«Tutto bene, Ossicino?»

Senza Nome ritrova gli occhi neri di Signor Bombetta.

«Mi dispiace di averti lasciato per terra; un vincitore meriterebbe ben altro trattamento, ma come puoi vedere in questa landa puzzolente non c’è molta alternativa.»

«Vincitore?» La parola uscita dalle labbra di Senza Nome suona più come “Incitoe”. Gli fa male la testa.

Signor Bombetta applaude. «Certo! Per i sette demoni dell’Oblio, avresti dovuto vedere come è crollato quel panzone.»

«Ho peso i sesi». Non è una domanda ma Signor Bombetta la interpreta come tale.

«Non crucciarti. Per essere la tua prima battaglia ti sei comportato più che bene.»

Senza Nome ritrova lucidità. «Prima battaglia? Ce ne saranno delle altre?» Non sa spiegarsene il motivo, ma la cosa non lo stupisce e nemmeno gli dispiace.

«Temo proprio di sì, ragazzo! Sembra che qualcuno voglia impedirci di trovare Dio.»

Senza Nome sbatte le palpebre.

«Che c’è Ossicino?»

«Mi vorrebbe far credere che lei è un prete?»

Signor Bombetta ride; una risata molto diversa da quella che Senza Nome gli aveva visto sfoggiare poco prima.

«Mi ci vedresti con la tonaca e il collare? No ragazzo, io sono un cocchie…ehm…un mago.»

«Un cocchiemago?!»

«Il mio nome è Vandel, giovane Ossicino, mago di categoria inferiore. Devo trovare Dio e, volente o nolente, tu mi aiuterai a farlo. Quindi smetti di ragionare per metafore, convinciti che è tutto reale.»

«Io non voglio incontrare Dio!» Senza Nome rimane di stucco quando Vandel lo schiaffeggia. Stavolta non ha utilizzato il misterioso fantoccio; Senza Nome ha sentito il calore della sua mano sulla guancia.

«E invece io ti dico che lo farai, se ci tieni a riavere il tuo nome e con esso il tuo passato.»

«Quindi lei mi avrebbe rubato il nome?»

«Io non ti ho rubato un bel niente. Sei stato tu a offrirmelo, come prezzo per suggellare il nostro patto.»

Senza Nome incassa la testa tra le spalle e riflette. Si alza e fa qualche passo. Scorge la sagoma del gigante barbuto riversa al suolo.

«Io non ricordo nessun patto.»

Vandel sbuffa. «Non lo ricordi, ma è scritto nel tuo cuore. Io posso leggerlo.»

«Aggiungiamo anche il fatto che può leggermi nel cuore»

Vandel annuisce. «Fai poco il sarcastico. Tutti i maghi di categoria inferiore possono farlo. Solo in superficie, però. Leggere in profondità è prerogativa dei maghi più potenti. Ecco, dicono che Dio sia il più potente di tutti.»

«E dove si trova Dio adesso?»

Vandel scuote le spalle. «Questo non lo so di certo, ma basterà seguire la magia superiore ed essa ci condurrà a Lui.»

«La magia…»

«Ho sentito voci di un drago risvegliatosi nelle lande a Ovest; apertura alare di dieci metri, roba che non si vedeva a Oltre da secoli.»

«Oltre?»

«Oltre é il nome di questo mondo, non farmi domande vane!»

Per Senza Nome nessuna domanda è vana; la nebbia nasconde il suo passato, e solo in esso può trovare le risposte che cerca.

«Un drago?»

«Proprio così, guerriero. Anzi, eroe! A proposito, ti serve una lancia e uno scudo. Per la lancia nessun problema, per lo scudo invece…»

«Intende l’arma di quel gigante? Non è pensabile che io possa brandire una roba come quella.»

Vandel non mostra cenno di averlo sentito.

«…userai il mio cappello.»

«Se è una battuta, non fa ridere.»

«Non è una battuta, contro la magia di terzo grado è efficace quindi non dovresti avere problemi per qunto riguarda il fuoco di drago. Se dovesse provare a schiacciarti o divorarti è un’altra questione.»


Trascorrono minuti in silenzio, sgranocchiando delle barrette pescate chissà dove da Vandel. Senza Nome pensa che abbiano un pessimo sapore, ma lo saziano ed è quello che conta.

«Sta cominciando a imbrunire» riflette il mago. «Andiamo a recuperare la lancia. Conosco un posticino poco distante da qui in cui potremo farci una sana dormita. I gestori sono una bella coppia, ti piaceranno. Domattina ci metteremo in marcia al sorgere del sole.»

«Vedo che muore dalla voglia di incontrare questo drago. Che importa, tanto sarò io ad affrontarlo.»

Lo sguardo di Vandel fa pentire Senza Nome delle parole appena dette.

«Noi due siamo legati, Ossicino. Rispetterò il patto e tu farai altrettanto. Io devo trovare Dio, tu devi riavere il tuo nome; entrambi abbiamo da guadagnarne. Entrambi abbiamo da perderne.» Sfiora il taschino dell’abito e Senza Nome pensa al fantoccio. «Adesso muoviamoci che ad aspettare troppo potremmo trovare Dio morto.»

«Ma Dio è immortale!»

«E chi lo dice? Può darsi che qualcuno decida di ucciderlo.»

«Nessuna persona con un cuore potrebbe volerlo.»

«E di quelle senza cuore? Che mi dici di quelle?»

Senza nome si incammina per raggiungere il cadavere del gigante; ha molte domande che gli vorticano in testa e per trovare le risposte non può fare altro che proseguire sulla strada del destino.

«E adesso che ti prende, Ossicino, non rispondi alla mia domanda?»

«La smetta di chiamarmi con quello stupido nomignolo!»

«Non posso certo ridarti il nome che mi hai offerto.»

Senza Nome è stanco, non vede l’ora di recuperar l’arma e raggiungere un posto in cui liberarsi dall’armatura e riposare le membra. «Perché Ossicino?»

«Non l’ho scelto io» ribatte Vandel. «L’ho semplicemente letto nel tuo cuore. In superficie.»

***

Rumore di zoccoli. Sbuffi di fumo e cigolio di ingranaggi. Il carro avanza trainato da quattro cavalli di metallo, il vapore lo accompagna celando il movimento delle grandi ruote. Il rumore del suo passaggio zittisce i suoni della foresta, terrorizza gli spiriti del deserto.
“Deepbottom: il Grande e Potente”, questo afferma la scritta in pittura bianca vergata senza troppa cura su entrambe le fiancate del carro. É il marchio del mercante di diaboliche meraviglie, il piccolo genio di fumo e olio. Jeremia.
L’omino se ne sta al posto di guida, reggendo le redini dei cavalli meccanici. Soffia e sbadiglia.

«Ingrato di un Vandel» borbotta tra sé e sé. «Mi lasci solo nel bel mezzo di un affare come non ne vedevamo da tempo immemore.» Getta le redini. «Maledizione, eri tu il cocchiere! Io sono solo un mercante.»

I cavalli proseguono nella loro galoppata; sfiorano i margini della strada, schivano un fosso. Mai stanchi.

«Vandel, maledetto traditore!» urla Jeremia Deepbottom. «Non permetterò mai che tu convinca Dio a distruggere la mia invenzione più bella. Le lancette dell’Orologio sono entrate nei loro ultimi tre cicli. Che tu lo voglia o no, i mondi si spegneranno per sempre.»

6 commenti su “Ossicino e l’Orologio Sepolcrale”

  1. Ops! male male!
    Non ve lo ha detto, vero? No, certo che no, Jeremia è una brutta perZona!
    Sapete, non era mai capitato prima. Aspettava da anni questo momento: A nessuno è permesso utilizzare Jeremia e Vandel nei propri racconti. Possono essere nominati, ma non utilizzati.

    Non tutte le maledizioni del botolaio sono scritte nero su bianco. Fino a ora non era mai capitato che qualcuno si inzuppasse di tanta Ubris. Quanta tracotanza! Pensare di metter le mani e gestire uno dei tre Dei Creatori dell’universo LPV come se fossero pedine a disposizione!

    Ossicino è condannato. In nessun modo e in nessuna forma potrà ricomparire in nessun gioco LPV. Jeremia DeepBottom Steampton lo esilia da questa nave. E si mangia un asterisco delle sue votazioni.

    heheheheh

    Comunque è stata una lettura gradevole! Grassie DBones.

  2. Ah, crudele autore! La questione si fa sempre più interessante e tu ci lasci così?
    Hai costruito un ottimo climax. Adesso sono davvero curiosa di sapere chi sia Senza Nome e che cosa abbia chiesto, ma anche come andrà a finire la ricerca di Vandel e la sorte del “buon” Jeremia.
    L’ho trovato ben scritto e ho apprezzato in particolar modo la parte finale.
    Sarei anche curiosa del dietro le quinte della trattativa, perché vedendo il risultato credo che sia stata estremamente interessante anche quella!
    Bella prova!

    1. Ciao Stella, mi sono preso qualche libertà nei confronti della trattativa. Ahahah. Io sono così, per dare il meglio (vabbè, si fa per dire) devo avere libertà di manovra. Ormai i Capitani hanno imparato a conoscermi, e un po’ mi sopportano.
      Comunque Ossicino è tutto fuorché un guerriero eroe, anche se la sua “maledizione” lo vorrebbe tale…

    1. Troppo buono, Ser! Sai com’è, mi è venuta ‘sta idea di far rivivere al mio personaggio vicende legate alla Bibbia…Abbiamo Davide contro Golia, e ho già anticipato San Giorgio contro il drago. OK, lo so. Ho una fantasia malata. Ahahah

Lascia un commento