Un racconto di SER P.
Il bambino corre ansimante e ansioso. Ansimante, perché la maschera che gli copre viso e naso e bocca gli ostacola il respiro – qualcosa su cui dovranno riflettere – e pure gli scarponi sono pesanti, ma soddisfacenti per i calci in faccia. Ansioso, perché stringe tra le mani il taglierino sporco di sangue, e non desidera altro che concludere ciò che ha iniziato. Saetta tra la gente sul marciapiede. Corre, rincorre. L’uomo che gli sfugge è veloce, a ogni curva lo vede distanziarsi sempre di più. Non lo può perdere. La J catarifrangente che gli splende sul petto è lo stigma della sua missione. Lì, nel parco, ha avuto solo modo di graffiargli il braccio, ma può fare molto di più. Può fargli molto più male.
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Dal TG della sera. Ennesima aggressione a un adulto da parte di un membro dell’autoproclamatasi “Giustizia Bambina”: una squadriglia mascherata e armata che colpisce uomini e donne ritenuti responsabili di gravi atti nei confronti dei minori. La vittima di oggi è un uomo di 43 anni, adescato tramite una chat online, con una proposta sessuale, inseguito tra la folla spaventata e ucciso nella propria camera da letto. E’ stato sfregiato su diverse parti del corpo, prima di essere colpito a morte. L’omicida è poi fuggito all’arrivo delle forze dell’ordine. Non è stato ancora catturato.
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A lato della discarica si erge una piccola baracca, fatta di lamiere e vecchie tavole ammuffite. La riunione all’interno è chiassosa. Sono in cinque, tutti indossano una maschera e fieramente portano sul petto lo stemma del loro salvatore. Hanno nomi altisonanti, da guerra.
Non ci dobbiamo fermare! – insiste Destructor – La missione non è ancora compiuta!
Se non fosse stato per gli sbirri, vi giuro!, gliel’avrei tagliato a quel porco! – Anatema si colpisce nervosamente il palmo della mano sinistra col pugno della destra.
Hai fatto il tuo dovere, comunque. – lo rincuora Fatality – Sei stato eccezionale. Da quando abbiamo iniziato a colpire anche di giorno, è sempre più difficile.
Ne mancano pochi, ormai. – Massacro serra le labbra.
No! – sbotta Estinzione – Tutto finirà quando J riapparirà. In quel momento ci darà la risposta. Sino ad allora dobbiamo continuare a punirli. Senza sosta.
Gli altri la guardarono attraverso le fessure oculari sulle maschere e annuirono decisi.
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Dove tutto è iniziato è una singolarità gravitazionale, che tutto assorbe e tutto produce. E’ un nastro di Moebius che scorre imperituro. E’ una cassetta VHS che si sovrascrive a ogni rullare del nastro. Dove tutto è iniziato è, e non è.
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Nella cameretta ci sono action figure e lenzuola colorate, con disegni di cartoon. Un poster con sfondo nero sul quale emerge una lettera J fosforescente. C’è un armadio a quattro ante oliva, di blu nelle maniglie, di verde nei cassetti. Una libreria angolare con sei ripiani, colmi cinque, e il sesto spezzato da uno spazio vuoto nel mezzo. Col libro da incastrarci poggiato sulla piccola scrivania – the book is on the table – aperto alla pagina 42. Poi lo specchio. Il vetro opaco nel quale non riesce a riflettersi. Uno specchio che ha perduto il suo mestiere. E la porta dalla quale è entrato, con la chiave nella serratura, quasi saldata, a impedire a quello di entrare. Sente la maniglia gracchiare con il suo meccanismo, messa sotto sforzo dalle mani del tizio al di fuori, sente lo scarpone colpirla sul fondo, a provare a sfondarla.
Si guarda intorno, come vedesse quella stanza per la prima volta, e forse lo è. Conta i passi che deve fare per arrivare allo specchio – tre! – e alla scrivania – due!
La porta sta per cedere sotto l’insopportabile pressione esterna che vuole a tutti i costi entrare. Non può, non deve!
Non deve succedere di nuovo!
O forse non è mai successo?!
Solleva il libro, fissa la pagina stampata, fruga gli spazi tra le parole, tra una riga e l’altra, cerca una via.
Quando la porta si scardina, il bambino mascherato entra con un saltello sbilanciato. Rotea su sé stesso, apre furioso l’armadio, i cassetti, guarda sotto il letto e dietro specchio. La stanza è vuota. E’ scappato. Ancora.
Dannazione! – impreca.
Si siede sul letto, si sfila la maschera, con le mani a massaggiarsi la testa, prima, poi gratta sulla cute, graffia, affonda le dita. Le unghie si bagnano di rosso. Se la risposta fosse dentro il suo cranio, lo scorticherebbe, come un frutto carico di molle polpa.
Si porta le mani davanti alla bocca, sugge il proprio sangue. Ride schizofrenico.
Non ci riesco! Ah, ah, ah… – si piega sul materasso, a tormentarsi il ventre mentre la risata lo avvolge, e poi diventa pianto e disperazione.
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La notte li agevola. Nel buio sembrano più spaventosi. Nell’oscurità sono Paura. Agli occhi delle due vittime appaiono più grandi dei loro pochi anni. Il nero dei costumi li mimetizza, come ombre nell’ombra. Solo la J sul petto sfavilla sentenza e punizione. Saltellano e ridacchiano. Sono armati. Destructor rotea catene scintillanti. Anatema fa scattare la lama del suo taglierino. Fatality gioca coi suoi sfollagente come due nacchere. Massacro fa roteare il tamburo della sua Colt. Estinzione fischietta una nenia stonata e sogghigna. I due spacciatori, tisici nei loro corpi tatuati, indietreggiano, poggiano le incerte spalle al muro.
Chi cazzo siete! –
Sono gli elfi pazzi, gli elfi pazzi! – balbetta l’atro.
La vostra merda finisce nelle vene dei bambini, lo sapete? Questa città è marcia dentro. Noi siamo la cura alla vostra pestilenza. – sentenzia Anatema.
Quindi arma il taglierino e muove un passo, poi il seguente. E il resto della squadriglia dietro. Il piede destro avanti, poi il sinistro, poi il des… Si blocca, come un fotogramma incantato. Sente odore di inchiostro. E’ immobile, impossibilitato a camminare, eppur si muove. Qualcuno che è lui, ma al tempo stesso non è lui, avanza. Lo vede, come in prospettiva. E gli altri lo superano, senza accorgersi che lui resta fermo lì, quando il suo doppio, che è lui ma non è lui, prosegue.
Che sta succedendo? – pensa. O meglio ci prova, ma le parole e le immagini che formano i suoi pensieri si mischiano, confondono: verbo al posto del soggetto, vocali al posto di consonanti, iato al posto delle doppie. Grida, fortissimo. Ma nessuno lo sente.
Poi tutto diventa bianco. Tutto svanisce. Poi macchie nere, linee, forme. Tutto diventa.
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Anatema corre. Ansimante. Compie gimcane tra la gente sul marciapiede. Corre, rincorre. L’uomo è veloce, a ogni curva lo vede… Aspetta! E’ già successo, no? O deve ancora accadere? Rallenta la corsa, distratto da strani pensieri. Vede il fuggiasco distanziarsi sempre di più. No, non lo può perdere! La J sul petto si infiamma. Contrae muscoli e spinge sulle ginocchia. E’ veloce, lo raggiunge. Entrano dentro un palazzo. Salgono rapide scale. Si intrufolano in un appartamento. Un corridoio. La porta di una stanza. Lo butta giù con un calcio volante. Gli è sopra. Quello agita le mani, cerca di proteggere il viso. Ma le rasoiate del taglierino sono come schizzi d’olio bollente. E’ sangue, dalle braccia lacerate, e dalle guance, dal petto. Poi gli affonda la lama nel collo e scorre, come un apriscatole. Quando sente le sirene avvicinarsi, regala un urlo primordiale al soffitto e fugge.
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Dove tutto finisce e inizia e continua e smette è un abbraccio concavo che poi si fa convesso e viceversa. E’ un fiammifero che accende una miccia che accende un fiammifero.
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Nella cameretta, la sua cameretta, ci sono oggetti che conosce, altri no, cose che riconosce e altre che non ha mai visto, o che non ha ancora visto.
Ascolta i passi, oltre la porta. Agitati. Uno scarpone si trascina e poi si ferma.
Non si è accorto di me, vero? – pensa – Come fa a sapere che sono qui?
Lo sa ogni volta.
La maniglia gracchia con il suo meccanismo. C’è solo un’uscita: quella da cui è entrato, quella che qualcuno sta forzando.
Aspetta – riflette – Quando sono entrato? La porta?!
La fissa, come non ne conoscesse il significato. Come non potesse associarle una parola. Prova a pronunciarne, ma è muto. Gira su sé stesso, alla ricerca di qualcosa. C’è un libro su un tavolino, aperto alla pagina 43. Dista quattro passi da lui. Un riflesso bagnato gli colpisce la coda dell’occhio. C’è uno specchio appeso al muro, agganciato a un tassello. E’ uno specchio dalla superficie opaca, sembra un vassoio di ottone unto. Si avvicina, lo sfiora, E’ viscoso.
Intanto la porta cigola, flette sui cardini, sta per cedere. Lui si volta, atterrito, e poi di scatto riporta l’attenzione allo specchio. Il suo dito scivola attraverso il vetro, lo trapassa. Mentre la porta cede, in un fragore di legno e viti, lo specchio si fa acqua, poi cascata. Il bambino mascherato entra impetuoso nella stanza ormai vuota, agitando il suo taglierino. Sconcertato si avvicina allo specchio. Punta il vetro opaco col dito, l’unghia sbatte contro la superficie.
Non posso raggiungerlo… – si lascia cadere affranto sulle ginocchia.
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Il giorno li ostacola. Alla luce fanno meno paura. Nel fulgore sono Sfida. Ai loro occhi appaiono anche più piccoli dei loro pochi anni. Il bianco dei costumi li rende vulnerabili, come lampeggianti a intermittenza. La J sul petto sbiadisce illuminata. Si muovono con circospezione. Sono armati, ma le loro mani sono agitate, tremolanti. Li vedono e non hanno paura. Non hanno rispetto della loro missione. I due spacciatori, ipertrofici nei loro bicipiti tatuati, avanzano. Destructor rotea catene dai fragili anelli. Anatema inceppa la lama del suo taglierino. Fatality raccoglie i suoi sfollagente come bastoncini di Shangai. Massacro fa roteare il tamburo della sua Colt, ma non ha proiettili. Estinzione sputacchia una nenia stonata e il labbro superiore gli trema.
Siamo gli elfi pazzi, gli elfi pazzi! – balbetta col labbro tremante.
Anatema lo fissa straniato – Aspetta, è lui che dovrebbe…
Si blocca, come un ingranaggio fallato. Sente sapore di acqua e olio. E’ statico, incapace di muoversi, comunque lo fa. Qualcuno, o qualcosa che è lui, ma allo stesso istante non è lui, indietreggia. Lo vede, come un riflesso, dietro di sé, mentre può solo guardare avanti. E gli altri scappano, senza rendersi conto che lui resta impalato, invece la sua copia, che è lui e insieme non lo è, si dilegua.
Urla, con forza disperata. Ma nessuno può sentirlo.
Poi tutto diventa nero. Tutto emerge. Poi onde, schiuma, gocce. Tutto è sommerso.
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Dal TG della sera. Ennesima aggressione da parte della baby gang “Giustizia Bambina”, questa volta finita diversamente rispetto alle precedenti. Sull’asfalto restano i corpi senza vita di due bambini. Gli inquirenti indagano per ricostruire la dinamica dei fatti.
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Adam sogghigna, rileggendo l’ultimo messaggio della chat. Il bambino gli ha mandato delle belle foto. Ha un culetto tondo tondo. Non vede l’ora di giocare con lui. Secondo gli accordi deve sedersi sulla panchina vicino al bar e aspettare. Lui arriverà e si farà riconoscere. Gli ha dato solo un indizio: la lettera J. Gongola.
Un pazzoide vestito con tunica nera attraversa il parco con una bibbia in mano gridando “Anatema! Anatema su di voi!”. Adam ridacchia. Si ricorda di quando da bambino giocava con gli amici nella baracca al lato della discarica. Tutti avevano un nome da supereroe. Il suo era proprio Anatema.
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Dove tutto parte e arriva è una spirale complessa che genera un rettangolo armonico in sezione aurea. E’ un divisore che diventa dividendo. E’ una risposta prima della domanda che genera una risposta.
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Adam si siede sul letto. Guarda lo specchio cercando il proprio riflesso. Ma vede il Suo.
J, qual è la risposta? – gli chiede.
L’ombra opaca nel vetro si inumidisce le labbra. Con mano dolce accarezza la lupa che gli sta accanto, fedele compagna.
Qual è la domanda? – gli chiede a sua volta.
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Adam corre. Trafelato e irrequieto nei suoi 43 anni. Trafelato perché il passamontagna gli ostacola l’inspirazione e i pantaloni abbassati sono come il ceppo di un prigioniero. Irrequieto perché l’erezione gli sbatte ancora sull’interno coscia, come batacchio in un campanile. Nelle mani stringe le piccole mutandine ancora sporche della sua urina spaventata, e non desidera altro che sentirsi dentro di lui. Corre, rincorre, attraverso il corridoio. Il bambino che gli sfugge urla e implora aiuto, ma è lento, a ogni passo lo vede avvicinarsi sempre di più. La J incandescente che gli ha marchiato sul petto è l’additivo alla sua libido.
Il bambino attraversa la soglia della cameretta. Sbatte la porta. La targhetta appesa cade malamente. La A si stacca dal DAM e rotola a terra. Ruota la chiave tremante. Si nasconde in un angolo coprendosi con la trapunta del letto. Vede l’uscio vibrare sotto i colpi dello scarpone di quell’uomo. Con la manina tasta la cicatrice sul petto. Piange di disperazione. Aiuto, aiuto! Chiama a gran voce ma nessuno risponde. Si guarda intorno alla ricerca di una via di fuga. C’è uno specchio in frantumi appeso al muro, i cocci di vetro per terra. C’è un libro dalle pagine strappate gettato di malagrazia sul tavolino. C’è un armadio dalle ante color oliva. Una è aperta, e tra gli indumenti infilati nelle grucce vede una felpa con cappuccio, con una J fosforescente cucita sul petto. Quando la porta cede alla spallata dell’uomo, il bambino scatta verso l’armadio, aprendolo e gettandosi dentro.
Adam lo vede svanire tra gli appendiabiti prima di poterlo raggiungere. Tra i vestiti appesi, ne manca uno.
Ancora – sospira.
Poi fissa lo specchio.
J, quando finirà? – gli chiede.
Ti prego… fallo smettere! – implora.
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Dove tutto ha avuto inizio è saliva risucchiata per essere sputata. Dove tutto ha avuto fine è una mezzanotte incrociata tra buongiorno e buonanotte. Dove tutto è decomposto è humus vitale. Dove c’è un bambino c’è un adulto, che fu bambino, che poi fu adulto, che poi fuggi e che si acchiappò. Dove tutto è sempre stato è dove niente è mai esistito.
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A lato della discarica si erge una piccola baracca, fatta di lamiere e vecchie tavole ammuffite. La riunione all’interno è stata chiassosa. Ora ansimi e puzza di sudore. Sono in cinque, tutti indossano una maschera e portano sul petto lo stemma del loro profeta: la J fosforescente. Uno in piedi, gli altri distesi. Uno vestito, gli altri coi pantaloni abbassati. Uno con un taglierino stretto in mano. Gli altri con le mani strette da una corda. Quattro bambini. Uno non più. Quattro da soli. Uno non lo è mai stato.
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Dal TG della sera. Rinvenuti sei cadaveri in una baracca al lato della discarica. Cinque corpi di bambini, tre maschi e due femmine, oltre al corpo di un adulto, ancora non identificati. Gli inquirenti, pur mantenendo il massimo riserbo, ipotizzano si tratti di un omicidio – suicidio, anche se potrebbe trattarsi di un doppio suicidio. Su tutti i corpi sono state rinvenute tracce di violenza sessuale.
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J lascia che Lilibeth gli lappi il viso con dolcezza.
Sì, lo so, è triste – sospira, accarezzandola sotto il collo.
Indica di fronte a sé.
Andiamo, piccola mia, questo brutto mondo ha sempre fame. E non ha avuto ancora la sua risposta. –
Bello il ritmo incalzante, ansiogeno. Ho letto tutto d’un fiato, a volte mi sono persa.
Adulti che tornano bambini per punire se stessi?
Un vortice di dissociazione?
Che cosa bella, i loop, che cosa bella i soggetti bloccati sugli stessi binari. Che cosa bella (?) che le prede per eccellenza si facciano predatori. Però – puro gusto personale: avrei preferito lo fossero mantenendo una certa “fanciullezza” che mi sembra sia tentata nell’uso dei soprannomi (Fatality!) ma che poi non “si sente” nel loro parlare.
…però ammetto di non averci capito molto. Nel senso che… sì, il circolo. Sì, uno dei bambini era più aguzzino che vendicatore. Ma la parte “esterna” al loop mi ha distratta e mi ha lasciato tante domande, più di quanto faccia il loop stesso. lSarà importante quel “pagina43”? E perchè lo specchio è vischioso? E chi preme, un altro adulto abusante, la verità, se stesso…?
È un lavoro davvero particolare, ma come lettrice “casual” trovo abbia bisogno di lasciare qualche briciolina in più da seguire, altrimenti ci si perde e basta.
Nota puntigliosa: dato che la narrazione è al presente, la riunione dei bimbi killer non dovrebbe chiudersi con un “la guardano/annuiscono, invece che
<> ? e un paio di refusetti qua e là, roba piccola (tipo nella descrizione dei colori dell’armadio, son scappati dei “di” di troppo oppure manca una parola in mezzo).
Intanto grazie! Sì, è incasinato. Volutamente e no, perché mi ci perdo pure io nella mia tecnica spocchiosa. Sicuramente c’è tanto da sistemare, anche se mi soddisfa, ma io la storia sotto la so, è che forse non ho saputo trasmetterla. Per i refusi ce ne saranno tanti, ma quei “di” nella descrizione sono voluti. Ih ih
impegnativo. interessante davvero, seppur non l’abbia trovato molto scorrevole, stavolta. ma è una questione di gusti stavolta, non una dichiarazione neutra. Non ho trovato affascinante il soggetto, il loop, il tema vendicativo. proverò a rileggerlo, giuro!
In effetti è più complicato di così. Non è proprio una vendetta. Però se si è capito poco è colpa mia e della mia spocchia. Solito vecchio problema. Mi pento e mi dolgo.
I loop sono sempre intriganti, apprezzo poi che la ripetizione sia simile ma mai identica, quasi una rivoluzione di corpi celesti influenzati da agenti esterni al sistema.
Non è sempre tutto chiarissimo (mi servirà una seconda lettura) ma il racconto offre uno spettacolo avvincente.
Interessante!
Purtroppo sì, non è chiaro ed è sempre il mio limite. Sono spocchioso nella resa e pur ci lavoro. Grazie
Ciao, belli tosti questi children! E bello anche il racconto in sé. Se proprio dovessi trovare un difetto (anche se si tratta più di gusto personale),mi sembra che gli intermezzi mistico-surreali seguano uno stile diverso rispetto al resto del racconto.
Ottimo gioco.
Eh, può essere! Ih ih. Rileggendolo non lo noto, ma un occhio terzo è sicuramente più adatto a una analisi oggettiva.
Grazie!