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LA SCHEDINA VINCENTE

1.

Oggi vado dal commercialista.

È lunedì, l’unico giorno in cui posso sbrigare quelle incombenze burocratiche che per lo Stato sono più importanti della produttività. Oddio, produttività, io sono un semplice barbiere. Ho un salone di cui vado orgoglioso, con le mattonelle bianche alle pareti, le sedie scomode e le rivistine zozze nel cassetto. C’è anche un vecchio cavallo a dondolo rialzato, su cui sistemo i bambini rompicoglioni. Tutto rigorosamente sciatto, identico a 60 anni fa, quando mio padre lo aprì.

Esco di buon’ora e per prima cosa m’infilo in un bar. Sono sempre alla ricerca di nuovi bar. Più sono, malfamati, sordidi, poco e male illuminati e più mi piacciono, ne amo il grigiore, le luci al neon, le pareti sporche. Quello di oggi è fantastico, l’ho adocchiato già da un po’, si trova nell’angiporto. L’atmosfera è decadente quanto basta, gli arredi vecchi e ammaccati risplendono in tutta la loro incuria e lo sporco – con quel suo elegante odore – trionfa solenne ovunque. Un delizioso squallore, che mi riappacifica con il mondo, grava indisturbato sulla clientela, per lo più sfatta e macilenta, reduce dalla dannazione della notte. Gente spettinata, con occhi allucinati e abiti stropicciati, piena di segreti più o meno mantenuti, di torti più o meno perdonati e mai dimenticati. Anime innocenti piene di cicatrici, in perenne equilibrio sull’orlo di qualche baratro.

Stamattina piove e qualcuno ha sistemato dei pezzi di cartone all’entrata, sui quali la gente dovrebbe pulirsi le scarpe, e sparso della segatura per terra.

Sublime.

Poi voglio andare a vedere come sono i bagni.

Invidio da morire il barista.

Ordino un cappuccino. Prendo una pasta da una teca forse un tempo trasparente, pago e vado a sedermi a un tavolino dalla superficie appiccicaticcia. Appoggio le mie scartoffie su una sedia e inizio ad assaporare la colazione. Normalmente quando vado dal commercialista ho una sola cartellina, oggi ne ho due, una per le solite fatture, l’altra per il mio tesoro: la pratica d’incasso di una schedina vincente del Superenalotto. Sto per diventare stramilionario. Dal commercialista vedrò anche il direttore della banca, entrambi felici di aiutarmi nelle pratiche per l’incasso. Che strano, mi è parso di averli visti poco fa assieme. Ma io non sono fisionomista, magari li avrò confusi con chissà chi.

Spesso penso a cos’abbia io di sbagliato, al perché la gente non perda mai l’occasione di sfottermi.

Faccio finta di non accorgermene, però questa cosa mi rattrista. Mi vien da piangere a pensare agli sguardi pieni d’ironia che si scambiano le persone alle mie spalle, credendosi non viste.

2.

La regina nera era sola al tavolino di un bar, da sotto il portico osservava la fiumana d’uomini e donne e bambini formare gorghi e correnti stravaganti sul letto della piazza.

Ne era certa, alcuni bianchi si erano già ritrovati e avevano cominciato la caccia anche senza la loro Madonna. La partita era già iniziata e lei era ancora sola e non sapeva niente dei suoi pezzi, neanche di quel pigro del re. Doveva muoversi, ma non dentro quella ressa, dove Cavallo e Torre spiccavano idioti come due boe arancioni in un mare calmo.

3.

Mentre mi beo nei miei pensieri, mi si avvicina una superbionda ipertruccata. Guardo bene: è un travestito.

«Posso sedermi tesoro, non ci sono posti liberi» mi chiede con tono che non accetta rifiuti..

«Certo» rispondo, e sposto le cartelline sul tavolino appiccicaticcio.

«Eccomi qui, fresca fresca di marchette!» Dice accomodandosi e inizia a sorseggiare un punch fumante.

Il barista mi fa un fischio per avvisarmi che il cappuccino è pronto, come a dire: “Se lo vuoi vientelo a prendere qui”.

Prima di alzarmi, guardo il bicchiere del travestito e lei precisa di aver fatto colazione prestissimo e di avere un gran freddo.

Vado a prendere il mio cappuccino e torno al tavolo. Decido di ignorarla, ma lei inizia a raccontarmi un sacco di cose, di cui non mi frega un fico secco, costringendomi a interrompere di continuo il flusso dei miei voli pindarici.

Finita la colazione, mi alzo, prendo le mie cose, saluto ed esco fantasticando di essere il proprietario di un bar simile a quello, con annessa barberia a vista e un’insegna tipo – BARbiere – anche se sono certo che appena lo dirò ai miei clienti, quelli si metteranno a ridere e mi prenderanno per scemo per l’ennesima volta.

«L’unica cosa che sai fare è tagliare i capelli, fallo e taci, dammi retta» mi disse una volta il signor Onofrio, assiduo cliente.

3.

Mi avvio a piedi verso lo studio del commercialista, ma dopo nemmeno venti passi vengo preso d’improvviso a braccetto da due loschi individui con l’accento dell’est.

«Ciao amico» dice uno. «Camina e non reagire altrimenti io ti ucido».

Mi fanno salire su un’auto con i vetri scuri, c’è un terzo uomo al posto di guida.

«Dov’è schedina?» Chiede senza preamboli quello alla guida.

“Cavolo”, penso, “e come fanno questi a saperlo?” «Non so di cosa parlate» rispondo.

L’energumeno alla mia destra mi strappa la cartellina di mano e su due piedi realizzo di aver preso solo la cartellina delle fatture, l’altra, quella con la schedina, è rimasta al bar insieme al travestito. Mi sento mancare.

«Dov’è schedina?» Chiede di nuovo quello al volante. «Non negare, se vuoi vivere» dice giocherellando con un coltello.

«Ce l’ha il commercialista» è la prima risposta che mi viene in mente, «stavo andando da lui a riprenderla».

Gli energumeni si danno un’occhiata tra lo stupito e l’incazzato.

«Alora, ’desso ti companiamo da lui tu prendi schedina e poi ci dai a noi, questa è tua unica possibilità. Se esci senza di schedina tu muori. Se fai passo falso, tu muori, se avisi polizia tu muori, se per caso riesci di scampare tuo negozio scoppia di bomba. E tu muori.»

«Sì, ma se io muore voi i soldi ve li scordate» dico appellandomi agli scarsi ricordi dei pochi polizieschi che ho visto.

Il tipo mette in moto poi dice, guardandomi dallo specchietto retrovisore e mettendo bene in mostra due denti d’oro: «Tu muori in tantissimo di tempo, di mesi, di torture, tu supplicherai me di farti morire. Tu abiti solo e muori solo. Quale è indirizzo di commercialista?».

Glielo fornisco, così almeno posso prendere tempo. Mentre continuo a chiedermi come diavolo facciano a sapere tutte queste cose di me, arriviamo a destinazione. L’energumeno a destra scende e mi fa cenno di muovermi. Fingo di allacciarmi una scarpa e annoto mentalmente il numero di targa. Mentre salgo le scale, tento freneticamente di elaborare un piano, nonostante l’energumeno alle spalle. Arriviamo davanti alla porta dello studio, suono, la segretaria apre, mi volto e do una testata sul muso dell’energumeno, il quale stava cercando una posizione defilata evidentemente per non farsi vedere. Lui rotola giù per le scale e io inizio a urlare: «Aiuto, aiuto, mi vogliono sequestrare, aiuto!». Schizzo nella sala d’aspetto e mi chiudo ansimante la porta alle spalle. Miracolosamente tutto funziona, come nei pochi polizieschi che ho visto. I malviventi smammano e io, passato il fiatone, racconto tutto alla segretaria, che avvisa subito la polizia.

Il commercialista, dottor Torre, e il direttore della banca, dottor Cavallo non sono ancora arrivati. Strano, pensavo di essere io in ritardo!

Comunque, non avendo io con me la schedina, siamo costretti a rimandare il tutto.

4.

Passo il resto della mattinata in questura a ripetere la stessa storia una decina di volte, i poliziotti sono più interessati a capire come si possano azzeccare i numeri vincenti al Superenalotto, qual è il metodo.

«Metodo, voi dite? Si chiama anche culo» rispondo a un certo punto e un poliziotto annota chissà che su un foglietto.

Chiarita la vicenda e firmati i vari verbali, due agenti mi accompagnano al bar per recuperare la cartellina, ma ovviamente non c’è più e nessuno l’ha vista. Te pareva! I miei due angeli custodi, tra mille raccomandazioni a fare attenzione e tenere gli occhi aperti, si offrono gentilmente di scortami a casa, dove arrivo tardissimo stanco morto.

Qui, nella pace domestica, scorgo l’originale della schedina vincente sul mobile vicino alla tv. Esulto. La mia endemica distrazione mi ha salvato! Nella cartellina avevo infilato solo una fotocopia e avevo dimenticato di allegare anche l’originale. Evviva!

Sprango la porta e mi ficco a letto.

Lascerò chiuso il negozio per un po’, tanto ci sono i soldi della schedina, posso cominciare a guardare alla vita da una nuova prospettiva.

5.

Dopo una nottata di incubi, la mattina successiva alle 10:03 mi sveglia il citofono.

Resto pietrificato nel letto: saranno mica gli energumeni? Il citofono non smette. Mi alzo e mi affaccio prudente alla finestra. Di sotto c’è il travestito del bar con tanto di parrucca e camicetta blu cobalto.

“Oh cacchio! E cosa vuole?” Mi chiedo ancora frastornato.

Alza gli occhi, mi vede e agita la cartellina! Gli apro. Mentre sale, m’infilo al volo qualcosa per rendermi presentabile. Entra e subito mi porge la cartellina, dice che ha chiesto dove abito a quelli del bar.

“Ma come fanno a conoscermi?” Mi chiedo, sempre più allibito. Probabilmente sono un barbiere famoso.

La ringrazio, chiedo se posso offrirle qualcosa, se vuole lasciarmi i suoi dati, per sdebitarmi, ma lei risponde che non è il caso e, dopo essersi guardata un po’ in giro e controllato chissà cosa nel portaombrelli, toglie il disturbo. La saluto con finta disinvoltura, apro la cartellina, la fotocopia c’è e ora che anche lei è tornata a casa tiro un sospiro di sollievo, un po’ mi pento di non essere stato più gentile col travestito.

Passano circa tre ore e mi squilla il cellulare. È il vicequestore. Mi informa dell’arresto degli energumeni e mi convoca nel tardo pomeriggio per un riconoscimento all’americana. Mi consiglia anche di portarmi un legale.

«Un avvocato, e perché?» Chiedo, ma lui ha già attaccato.

Telefono a un mio cliente avvocato, gli racconto tutto per sommi capi e ci diamo appuntamento direttamente in questura.

6.

Passa pochissimo e riecco il citofono.

Mi sento morire. Mi affaccio e vedo sei poliziotti. “Ma non dovevo andare io da loro?” Mi chiedo perplesso.

Li faccio salire, quello che entra per primo dice che devono effettuare una perquisizione perché sono stato denunciato per rapina.

«Rapina??» Chiedo come in un sogno. «Io non so cosa dirvi, fate pure.»

Mi consegnano dei fogli, ma per l’agitazione non riesco a leggerli e m’informano della possibilità di farmi assistere da un legale, così richiamo il mio cliente e gli chiedo di passare prima da me me.

Lui arriva in fretta, esamina i fogli che mi hanno consegnato, gli sbirri si sparpagliano per casa e iniziano a frugare dappertutto. Dopo poco, uno di loro annuncia trionfante di aver trovato l’anello. Trasecolo. È proprio vero: sono del tutto scemo e non capisco niente. Chiedo se posso sapere dove l’ha trovato e cosa significhi quell’anello, oltre a chi mi ha denunciato, ma lui risponde che in questura avrò tutti i chiarimenti. L’avvocato mi ordina di tacere e di non firmare niente.

Sono nel pallone, è come essere su scherzi a parte.

7.

In questura ora ho due cose da fare: il riconoscimento degli energumeni e il mio interrogatorio.

Gli energumeni li riconosco tutti e tre e vengono subito rispediti in gattabuia. Strano, pensavo fossero dell’est, invece sono tre fratelli col cognome italiano: Bianchi.

Quando tocca a me, dico che non capisco cosa stia succedendo, ma tutti i presenti mi guardano e ridacchiano. Sebbene abituato alle risatine di gruppo nei miei confronti, anche stavolta ci soffro e sto male.

Qualcuno annuncia l’imminente arrivo di chi mi ha denunciato. Io mi rallegro, questo equivoco finalmente si sta per chiarire.

«Deve ancora nascere chi vuol fregare la Regina nera, lo sai, eh?»

Mi dice ridacchiando un poliziotto grasso, toccandosi il pacco, con i capelli unti e la divisa spiegazzata e più unta dei capelli.

«Non so proprio chi sia questa regina nera» tento di spiegare, ma l’avvocato mi intima a voce alta di tacere e di non aggravare ulteriormente la mia posizione.

Tutti continuano a darsi delle occhiatine e a ridacchiare sotto i baffi.

Quando vedo entrare chi mi ha accusato, per poco non mi prende un colpo: è il travestito del bar. Al suo arrivo tutti si fanno da parte.

Lei si toglie con fare teatrale gli occhiali da sole, mi guarda sprezzante e ostenta un’espressione stanca, da vittima nobilmente tediata.

Le viene mostrato l’anello trovato a casa mia e lei, piangendo, dice che sì, è proprio il suo, e conferma quanto dichiarato nella denuncia, ossia che gliel’avrei sottratto a seguito di una notte di sesso con me, dopo averla abbordata in un bar dell’angiporto, perché io volevo essere pagato a mo’ di gigolò, ed esibisce dei lividi su un braccio.

Tutti si voltano a guardarmi, anche il mio avvocato, pure l’avvocato degli energumeni – da buon figlio di buona donna si è trattenuto qui. Lei precisa di non voler vendetta, ma solo giustizia.

La guardo bene, non mi pare per nulla un travestito.

Mi arrestano. Passo la notte in cella. La mattina dopo il GIP, malgrado io – su consiglio dell’avvocato – non risponda nemmeno a una domanda, è di buon umore e mi spedisce ai domiciliari in attesa della conclusione delle indagini. Forse ha collegato la storia degli energumeni con quella della schedina e vuole vederci chiaro.

Lo spero.

8.

Torno a casa nel tardo pomeriggio.

Sono esausto, mi gira la testa, vedo doppio. Accendo la tv, un tipo sta parlando di me in mezzo a un marciapiede. Inizia a intervistare un po’ di persone che fingono di trovarsi lì per caso. Guardo meglio, sono davanti alla mia barberia. Dicono tutti che sembravo tanto gentile e che salutavo sempre, ma sempre molto riservato, solo buongiorno e buonasera. Toh c’è anche Onofrio: secondo lui, ultimamente ero un po’ strano e una cosa del genere, casomai fosse vera, non se la sarebbe mai aspettata da me. Il cronista precisa – con sguardo e tono ligi alla deontologia – di essere impossibilitato a intervistarmi perché sono ai domiciliari e non posso ricevere visite. Conclude sottolineando quanto sia stato goffo, per non dire ridicolo, il mio tentativo di farla franca nascondendo l’anello nel portaombrelli. «Sempre se è vero» aggiunge, lui sì che è ligio alla deontologia, e precisa: «Purtroppo al giorno d’oggi la gente più semplice, quella meno sospettabile, quella che sembra avere una vita sobria e tranquilla, è proprio quella da temere, poiché potrebbe essere vittima della propria solitudine».

La linea torna in studio, dove uno stuolo di psicologi, psichiatri in vacanza, sociologi, magistrati in libera uscita e colonnelli in pensione in un primo momento gli danno ragione, poi iniziano ad accapigliarsi tra loro.

Riaprono il collegamento in diretta col bar dove tutto è iniziato e vedo il poliziotto dai capelli unti indicare alle telecamere il tavolino dove avevo fatto colazione assieme alla mia accusatrice. Spengo quando il conduttore accenna a una “stravagante storia di schedine vincenti e di rapimenti”.

Ma chi se ne frega, io ho i soldi della schedina. A proposito, la schedina? È sempre lì? Sì, accanto alla fotocopia.

Meno male.

9.

Suonano alla porta.

Non ce la faccio più, sono sfinito, sto per morire.

«Polizia!» Grida una voce.

Apro e davanti mi ritrovo il travestito, che poi in effetti è proprio una donna, in lacrime. Chiede di entrare, entra,7si scusa, piange, si batte il petto, cade in ginocchio, mi bacia le scarpe, si rialza, mi abbraccia, chiede come potrà mai farsi perdonare, giura che ritratterà tutto, anche a costo di una denuncia per calunnia e un risarcimento danni milionario. Afferma di essersi comportata così solo perché soffre di una rara malattia mentale.

Oramai ho esaurito ogni possibile sbalordimento.

«Alla faccia della malattia mentale, ma non hai mai pensato di farti curare?» Chiedo.

«Ah, ma quindi è lì!» Dice lei per tutta risposta.

Succede tutto in un attimo: la mia accusatrice posa lo sguardo sulla schedina sul mobile vicino alla tv, con un balzo l’agguanta assieme alla fotocopia, si infila tutto in bocca, mastica e inghiottisce.

«Così imparate», mi dice prima di andarsene «a sfidare la Regina nera».

6 commenti su “LA SCHEDINA VINCENTE

  1. Alessandro Pilloni Ser. P

    Mi è piaciuto come hai sfruttato la traccia. Tutto quel sudiciume iniziale mi ha fatto venire il prurito. Però non ci ho capito niente! Il piano qual era? Erano tutti complici? Era pazzo lui? Era pazza lei?

  2. Spassoso! Una lettura gustosa e avvincente che, in alcuni tratti, non ho potuto fare a meno di “recitare” tra me e me, soprattutto quando parlavano gli energumeni. Sicuramente sarà sul mio podio

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