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La parata dell’arcobaleno

Un racconto di Seme Nero

Il terzetto si muoveva spedito nel folto del bosco, nonostante il buio pesto. I genitori precedevano di qualche passo, con gli orecchi tesi pronti a individuare suoni che non fossero propri della foresta. Un cinguettio prolungato imponeva una breve pausa, per accertarsi che non si trattasse di una melodia. Si tenevano lontani dai cespugli già carichi di bacche e per sicurezza approfittavano di ogni occasione per sporcare i loro abiti già lerci di altro fango, mischiato all’occorrenza con feci.

«Presto, Aili, presto! Siamo al limitare e quasi albeggia!»

La giovane halfling era rimasta indietro di qualche passo, e rovistava nella sua sacca con ansia. Quando ebbe trovato ciò che cercava lo mise in tasca e fece per riprendere il cammino, ma le si parò davanti il padre che la squadrò con aria sospettosa.

«Cosa nascondi? Cosa continui a guardare mentre riposiamo, quando credi di non essere vista?»

Ailina impallidì, strinse convulsamente la mano sulla tasca e il padre le afferrò il polso. Dopo una breve colluttazione Bern riuscì a strapparle il tesoro che la figlia custodiva con tanta foga.

Greda, che fino a quel momento si era tenuta in disparte, era corsa a vedere cos’avesse scioccato tanto il marito.

«Bern, che succede?»

Per tutta risposta l’uomo porse la mano e Greda trattenne un urlo. Un fazzoletto ormai lercio nascondeva un nastro lindo, che al lieve pallore lunare sembrava vermiglio.

«Scava una buca» disse lui con voce roca.

«Padre, ti scongiuro, lascia che lo riponga! Non uscirà più dalla sacca fino a Colle D’Alba…»

Senza dare segno di averla udita si accucciò a terra, cercando di macchiare il tessuto il più possibile.

«Non è un lusso che possiamo permetterci, Aili.» Non c’era rabbia nella sua voce, a dispetto del suo comportamento rude. «Sei stata sconsiderata. Ne percepiscono persino il colore, capisci?»

La giovane piangeva, il volto rigato da lacrime e muco. Annuì.

«Scava la buca, allora.»

Sotterrato a fondo il cimelio, ripresero la marcia, ancora più serrata.

Arrivarono infine alla radura e il cielo era ormai chiaro. Bern si trovò a fare una delle scelte più difficili della sua vita: correre a perdifiato tagliando lungo il grande prato, attraversare il torrente ed entrare nella foresta di Corandel, dove avrebbero trovato soccorso o almeno un rifugio sicuro, oppure accamparsi un’altra notte. Il rischio era comunque enorme. La Parata poteva essere vicina e se li avessero raggiunti da quel lato l’unica opzione era tornare indietro. Si sarebbero dovuti nascondere ancora per chissà quanto e le loro provviste erano già scarse.

«Il vento è a favore. Tendete gli orecchi: sentite nulla?»

Il grande prato gremito di cespugli e fiori sembrava danzare sospinto dal vento, il fruscio simile alle onde del Lago Argenteo in primavera, quando soffiava il Levante. Le donne fecero segno di diniego.

«Allora ecco quello che faremo: scendiamo lungo il declivio, attente a non scivolare. Tenetevi sulla destra, sul lato dove la vegetazione è più rada. Oltrepassare il torrente non dovrebbe essere difficile, ma cercate di tenere le sacche sopra la testa; non sappiamo se sia molto fondo ma non abbiamo tempo di cercare un guado migliore. A quel punto è fatta. Tutto chiaro?»

Annuirono.

«Bene. E se per qualche ragione foste costrette a fermarvi l’altra vada avanti, penso io ad aiutare chi resta indietro.»

«E se fossi tu ad avere bisogno di aiuto?»

«Proseguite fino al bosco. Aspettatemi all’interno, Corandel è protetta da magia elfica.»

Misero i cappucci e si fasciarono lasciando esposti solo gli occhi. Marciarono rapidi con gli zaini in spalla, macchie grigie nella distesa verde. Greda apriva la strada con Ailina al seguito, Bern si attardava il tempo necessario a guardarsi attorno, i nervi tesi e tutti i sensi all’erta. Sulla ghiaia che accoglieva il letto del torrente rallentarono, lo strato di pelliccia sotto i piedi consentiva loro di muoversi silenziosamente. Nel frattempo Greda cominciò a rovistare nella sua sacca, Bern avrebbe voluto riprenderla ma non poteva rischiare di far rumore. Giunti sulla riva la halfling passò una corda alla figlia, facendole segno di legarla attorno alla vita e passarla poi al padre. Bern fu piacevolmente stupito dalla lucidità della moglie e si sentì in colpa, sia per averla biasimata che per non aver avuto la medesima idea. Così serrati riuscirono a guadare il torrente senza problemi. L’acqua era forte e arrivava alle ginocchia, ma solo per un breve tratto. Ailina scivolò ma si riprese in fretta, e per un pelo riuscì a non perdere le sue cose.

Era passata in tutto meno di un’ora da quando erano usciti dal bosco alle loro spalle. Davanti a loro c’era un piccolo gruppetto di arbusti e cespugli, il torrente scendeva a valle sulla loro destra e c’era una visuale completa a parte alcuni grossi massi. Il riflesso del sole gli faceva strani scherzi, tanto che gli sembrò vederli muovere. A sinistra la via era sempre libera e il monte Gurash li osservava da distante.

Si era concesso un sorriso, il suo ultimo.

Greda se n’era già accorta, comunque troppo tardi. Aveva urlato, cercando di bloccare i familiari per farli tornare indietro. Bern, ancora confuso, vide allora gli arbusti cadere e i cespugli farsi da parte, rivelando un gruppo di vecchi amici vestiti a festa, con colori sgargianti e facce dipinte come buffoni. Trombette di latta cominciarono a squillare assieme a lunghe chiarine, si alzarono grida festose e risate. Dal chiassoso gruppo si staccarono alcune coppie, e aprendosi queste rivelarono lunghi drappi rossi e dorati, azzurri e gialli, verdi e argentati, che dispiegarono reggendoli alle estremità, circondando la famigliola. L’aria fu scossa da boati e rulli di tamburi. Quelli che sembravano massi dormienti adagiati sulla riva del torrente si rivelarono grossi teli grigi che nascondevano le percussioni della banda.

Mentre i tre fuggitivi cadevano preda dei lunghi drappi, il vivace corteo si metteva in ordine, aumentando le proprie fila con molti altri partecipanti che arrivavano dal bosco, in piccoli cortei pieni di bandiere colorate, guidati da gonfalonieri.

Stretti nella morsa dei drappi, Bern, Greda e Ailina venivano ora derisi ora applauditi dai membri della Parata, che ballavano frenetici ed estasiati intonando canzoni e filastrocche prive di significato, dal linguaggio puerile, sconfinando talvolta nel volgare e l’osceno. Presto qualcuno fece notare il loro lezzo e il lerciume dei loro abiti, perciò furono spogliati, non senza grosse resistenze, e infine lavati nell’acqua gelida del torrente. Umidi e tremanti vennero asciugati con grossi panni e poi rivestiti di bianche tuniche, lunghe fino alle caviglie. Alcune delle halfling più giovani confezionarono ghirlande che posero sul capo di Ailina e Gerda, quanto a Bern ci provarono ma questi li presi a calci appena ne ebbe l’occasione. Per tutta risposta fu preso e immerso più volte a testa in giù nell’acqua, finché non ne fu stremato, il tutto tra le risa dei festanti e le grida della moglie.

La Parata fu infine ricomposta, un piccolo palchetto fu allestito accatastando alcune balle di fieno, un giovane alberello venne abbattuto, pulito dei rami e piantato a terra, dietro al palchetto.

Qualcuno accese dei fuochi e cominciò un piccolo ricevimento, con selvaggina, carne salata, grosse pagnotte, frutta fresca e birra. Anche ai nuovi invitati venne offerto qualcosa, ma si ostinarono a non mangiare, almeno finché non cominciarono a ingozzarli a forza. Il sole di mezzogiorno splendeva alto, il vento fresco scuoteva le bandiere e ravvivava le braci, sporadiche nubi attraversavano un cielo azzurro. Il torrente spumava e regalava di tanto in tanto la vista di piccoli arcobaleni.

Iniziarono le danze. Lunghi nastri venero appesi alla cima del palo e i convitati ballarono in cerchio attorcigliando i nastri, poi tornando indietro e svolgendoli, infine intrecciandoli ancora, in un crescendo di risate e cadute. Anche Ailina venne portata di forza a ballare, e lei cercò soprattutto di non incespicare, correndo più che danzando, ormai privata delle forze, apatica e sconcertata. Bern cercava di urlare, perché lasciassero la figlia, ma le sue minacce roche si spegnevano ignorate in forti colpi di tosse. Anche Greda passava dalle suppliche alle maledizioni, ma ottenne solo di venire canzonata da buffoni che ne imitavano le smorfie.

Un halfling infine si impose sugli altri con voce poderosa, richiamandoli all’ordine. Le chiarine squillarono e i tamburi suonarono una marcetta. Tutti si misero in cerchio attorno al palco e chiamarono a una sola voce: «Papà Salèm, Papà Salèm, Papà Salèm!»

Bern e Greda si guardarono, piangendo. Sotto i loro piedi sentivano le vibrazioni prodotte dai passi del gigante che sovrastava tutti di alcuni metri. Veniva da lontano, senza fretta. Muoveva le membra flaccide con sicurezza ma camminava con l’andatura di un infante. Il suo sorriso era largo, vestiva di una lunga cotta cremisi e aveva un copricapo giallo, a punta.

Giunto in mezzo allo spiazzo della festa, i presenti richiusero il cerchio dietro di lui. Parlò con una voce sorprendentemente chiara, alta, ma potente.

«Che gioia, figli miei! Altri amici perduti hanno deciso di unirsi al nostro gioioso pellegrinaggio!»

Urla selvagge e applausi scroscianti seguirono il suo benvenuto.

«Noi li conosciamo bene, tanto abbiamo atteso questo giorno, tanto abbiamo camminato per dar loro il nostro più caloroso abbraccio! E oggi dobbiamo far loro una domanda molto importante. Portateli a me, coraggio!»

Per primo c’era Bern.

«Amico caro, oggi è un giorno di festa: tingerai le tue vesti?»

«Tu possa bruciare nella pira di Ghemel per l’eternità! NON ASCOLTATELO! NON…»

La grossa mano di Papà Salèm si strinse attorno alla sua testa, quasi con delicatezza, e lo sollevò. Per alcuni minuti Bern provò a divincolarsi, poi si afflosciò come un panno bagnato. Papà Salèm lo mise da parte e rivolse a Greda la stessa domanda. Quella piangeva, pregandolo di lasciare andare la figlia. Papà Salèm prese una delle sue braccia tra indice e pollice e tirò. Greda urlò di dolore, poi le ripeté la domanda. A ogni replica Greda supplicava e Papà Salèm spezzava o slogava un arto. Ailina, che fino a quel momento sembrava catatonica, alla vista della madre spezzata cominciò a tremare e piangere in maniera isterica. Greda infine svenne e fu posta sopra il cadavere del marito. I convitati spinsero pian piano Ailina verso Papà Salèm, ma questi, invece di farle la solita domanda, fece un cenno ai suoi. Uno di loro portò un piccolo pacchettino e lo porse a Ailina. Lei lo guardò, ma poiché non dava segno di capire qualcuno lo svolse per lei. All’interno c’era un nastro rosso, pulito e brillante. Il suo nastro.

«Se resterai assieme a noi potrai tenerlo. Non c’è bisogno di nascondere nulla ai tuoi compagni, nella Parata dell’Arcobaleno. Dimmi, Ailina: tingerai le tue vesti?»

Ailina, tremante, alzò lo sguardo verso Papà Salèm. Un sorriso malato si aprì sul suo volto. Annuì. Un coro esplose di giubilo, tutti presero a ballare in cerchio, entusiati. Ailina fu trasportata di peso sul palchetto e lì la lasciarono in piedi, tremante. Allora Papà Salèm prese i suoi genitori, uno per mano, e protese le braccia sopra Ailina. Strinse i pugni con forza disumana, Greda ebbe appena il tempo di riprendere i sensi sconvolta dal dolore per gridarlo un’ultima volta. In un concerto di ossa frantumate, una pioggia di sangue cadde su Ailina, battezzandola, tingendo la tunica bianca. Ed ella cominciò a danzare.

7 commenti su “La parata dell’arcobaleno”

  1. Bastava un attimo, un passo più in là, e dall’horror sfociava nel parodico. Invece non vedevo tanta inquietudine da Midsommar. Che dire? Un’idea azzeccatissima, ben sviluppata, mi è piaciuto davvero molto. E questa estate avrò più paura degli arcobaleni.

  2. Capitana Borderline

    Un mash up fantasy-horror, davvero notevole come idea. Per un gusto mio personale, avrei lasciato più avanti l’ansia della fuga e le sensazioni negative provate dalla famiglia, magari usando come incipit qualcosa di allegro, che non rivelasse fin dall’inizio che nel bosco qualcosa di inquietante si nascondeva, in attesa. Sarebbe stato ancor più figo utilizzare un’ambientazione urbana, invece del bosco (ma lo ammetto, è solo rigetto di cose elfiche, il mio). Solo una cosa ti dico: scrivi, Seme Nero, scrivi. Lo sai bene che ti aspettiamo e che crediamo nelle tue trovate e nel tuo modo di narrarle: Ca-mon! O mi tocca chiamare Papa Salem 😛

  3. Tralascio le note tecniche già descritte da altri, che davvero sono piccoli smussi aggiustabilissimi.
    L’alone colorato e orrido che veste la parata è funzionalissimo. La festa, il colore e il sorriso alla luce del sole per un rito macabro. La paura del giorno è resa molto bene.

    Mi è piaciuto.

  4. Ho adorato la parte iniziale. Camminiamo davvero insieme a loro, tratteniamo il fiato con la scoperta del nastro, ci sporchiamo anche noi di fango. Sei riuscito a rendere il clima di tensione e di paura senza utilizzare dettagli mostruosi.
    Mi è piaciuto anche il finale, il modo in cui l’inizio si ricollega alla fine.
    C’è ancora molto da approfondire, se lo vorrai. A me lascia curiosità. Spero di leggerne ancora (non solo per gli argomenti che potrebbero essere approfonditi, ma soprattutto per Ailina).
    Davvero una bella prova.

  5. L’unico difetto vero di questa storia è che – mannaggia – è breve. Perchè il concetto che c’è dietro mi piace un sacco, le domande sul prima e sul dopo sono un sacco e trovo pure che ci prenda un sacco col tema del gioco. Forse sono stata ripetitiva?

    Mi piace molto, moltissimo che non solo “la luce, l’erbetta, i fiorellini” siano l’ambiente in cui incidentalmente accade qualcosa di brutto, ma siano loro stessi concausa di quel “qualcosa di brutto”. E non sto scherzando quando dico che ampliarlo – dare più profondità ai personaggi, spiegare la nascita della Parata, ma senza dissoluzione finale della stessa – secondo me, sarebbe un’ottima idea 🙂

    C’è un “sia… che” che io odio e metterei “Sia… sia” per mia pura pace interiore e forse cambierei un po’ di punteggiatura qua e là – ma son sciocchezze. Davvero, davvero, bravo.

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