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Il gioco della scimmia

L’uomo nel pozzo ha dimenticato il proprio nome. Il sangue rappreso ha creato croste sulle dita delle mani, forse anche sul cuore. Le lacrime che ha versato gli hanno annebbiato la vista: ora non distingue il giorno dalla notte. Attende la morte, e allo stesso tempo la rifugge. Gli scarafaggi non hanno sapore e l’acqua che intirizzisce il suo corpo nudo è una gelida placenta matrigna. Nei sempre più sporadici momenti di lucidità, si domanda quale immondo peccato abbia commesso per trovarsi lì. Ma lui è Nessuno e forse Nessuno merita quella pena.
Non cede all’abbandono. In un’improvvisa esplosione di necessità, si arrampica su pietre troppo levigate. Scivola sul muschio. L’acqua attutisce la caduta e spegne ogni speranza. L’uomo nel pozzo vorrebbe addormentarsi, ma distinguere il sonno dalla veglia esula dalle sue capacità.
Le palpebre si fanno pesanti e nello spiraglio che lasciano aperto, Nessuno intravede un’ombra. Lo osserva dalla bocca del pozzo. Lassù. Troppo distante per capire se sia un essere umano; per quanto ne sa potrebbe anche trattarsi di una scimmia.

«Ehi tu, che ci fai in fondo al mio pozzo?» lo apostrofa la Scimmia.

Nessuno borbotta limacciose parole sconnesse.

«Non ho capito un bel niente di quello che hai detto» sghignazza la Scimmia. «Ma mi piace che tu sia lì.»

«Tira mi furi» biascica Nessuno, prima che un attacco di tosse lo sconquassi.

«Ohhh, non posso tirarti fuori dal pozzo, al massimo posso lanciarti l’ultimo pezzo di carne che mi è rimasto; è buona. Hai fame?»

«Fori, pe favoe!»
«No no no, non se ne parla. Io detesto voi esseri umani, perdonami ma non vi sopporto proprio! Sembra che tutto vi sia dovuto. Sai che ti dico? Non vi è dovuto un bel nulla. E poi se sei finito in fondo al mio pozzo un motivo ci sarà.»

«Ti prego…»

«Bene. Così va già meglio.»

«…tirami fuori!»

Adesso non c’è più Nessuno in fondo al pozzo. L’uomo senza nome osserva la creatura acquattata sul bordo di pietra. Assomiglia davvero a una scimmia, ma allo stesso tempo è molto diversa da quell’animale. Tra le zampette anteriori stringe un pezzo di carne.

«Se stai pensando di fare qualcosa di avventato, ti consiglio di desistere. Tu adesso sei ancora laggiù in fondo, ma questa illusione che ho creato potrebbe trasformarsi in realtà.»
L’uomo crede alle parole della Scimmia; il puzzo penetrante dell’umidità non abbandona le sue narici, e il chiarore opaco che avvolge lo spazio che si apre davanti ai suoi occhi è un inganno.

«Ma non posso tapparmi le orecchie al suono della tua preghiera. Ohhh, sapessi quanto mi è piaciuto quel tuo ti prego. Sembrava così sincero, e io so quanto voi umani siate restii alla sincerità.»

Nessuno raccoglie coraggio. «Cosa devo fare per essere libero?»

La Scimmia sorride. «Un gioco. Se vincerai, sarai libero. Che ne dici?»

L’uomo che in verità non ha mai abbandonato il pozzo, annuisce.

«Avvicinati, le regole sono molto semplici…»

Nessuno ascolta. L’oscurità inghiotte il pezzo di carne.

«Mangia, umano. Così sigilliamo il nostro patto.»

***

I muli trascinano il carro a passo lento e costante. Il cocchiere sonnecchia, regge le redini con svogliata abitudine.
L’uomo barbuto mi fissa con occhi sbarrati; i muscoli possenti messi in risalto da una giubba di pelle attillata.

«Non è che ce manda fori strada?»

Il carro piega a sinistra, sfiora il fosso ai margini della carreggiata.

«Gli animali conoscono la via» rispondo accennando un sorriso.
Muscoli Possenti annuisce; si aggrappa a un’asse con entrambe le mani.

«Famo che me fido!» I raggi aranciati del tardo pomeriggio illuminano la calotta lucida della sua pelata.

«Dobbiamo solo sperare che il cocchiere non si sia fermato in qualche locanda di Brixia.»

Muscoli sputa una risata catarrosa.

«Bell’affare avrebbe fatto! Ho sentito che er vino de Brixia è poco meglio der piscio de capra. E chi se beve ‘na roba così.»

«Io più di sette monete non ti posso dare e con quei soldi non potrai certo permetterti un vino da signori.»

«Me sta bene, e me pare de avertelo già detto. L’importante è che non me stai a cojonà, che te spacco la capoccia a suon de pugni.»

«Nessun inganno. Se vincerai al gioco avrai cinque monete, in caso contrario ti resteranno comunque le due che ti sei già ficcato in tasca.»

Muscoli mi rivolge una scrollata di spalle.

«Amico mio, io so nato vincitore.»

«Mi piacerebbe credere alle tue parole, non immagini quanto.»

«Ce devi credere, sì! So Giaco er Bestia, mica en fanfarone!»

Dal retro del carro si leva una voce, ruvida come il frinire di cicale nelle sere di inizio primavera.

«Fanfarooone…fanfarooone…»

«Che cazzo vuole ‘sto sgorbio?»

Lo stupore accompagna l’entrata in scena della Scimmia.

«Rilassati, Giaco…»

«Rilassati un par de cojoni! Lo ammazzo ‘sto mostro.»

«…quello che hai di fronte è il tuo sfidante.»

***

«L’ho visto, Nemo! L’ho visto bene quell’uomo. Puzza di latte e merda.» La Scimmia è aggrappata al bordo del pozzo con mani che sono anche piedi.

Faccio un passo indietro, vittima del fetore selvatico del suo alito.

«Non m’importa» ribatto mostrando una sicurezza che vorrei mi appartenesse. «Conta solo il gioco che farà.»

La Scimmia ride. Si gratta il sesso.

«Certo che potevi trovarne uno migliore.»

«I migliori non si fanno ingolosire da sette luride monete di bronzo!»

«Lo so bene, Nemo. Ogni gioco ha le proprie regole, e il nostro non fa eccezione.»

Piazza Labus è semi deserta; un uomo trascina una carriola carica di stracci. Tiene lo sguardo fisso sui ciottoli e il sudore colma il suo volto.

«Ohhh, guarda con che foga spinge quella carriola. Sembra davvero forte» mi schernisce la Scimmia. «Io dico che dovresti provare con lui. Che pretendi da uno che si fa chiamare Giaco er Bestia?»

«Giaco è il mio giocatore.»

Saltella la Scimmia; forse si sta divertendo. I peli sul muso celano ogni sua espressione.

«Voi umani siete così stupidi. Mi fate quasi pena.»

Stringo i pugni. Le unghie penetrano nella carne. Il sangue scorre sui palmi. Sono vivo e posso risalire.

«Risparmia pure la tua pietà.»

La Scimmia è immobile; occhi neri fissi nei miei. Piccoli abissi di torba.

«Povero, piccolo Nemo. Non posso risparmiarti la mia pietà, perché l’acqua in fondo al pozzo è gelida.»

«Questo lo so benissimo, ora che ne dici di giocare?»

«Ohhh, ecco il tuo amichetto Giaco che arriva. Giochiamo, giochiamo!»

***

L’imbrunire ha toccato le vie di Brixia. I fabbri hanno poggiato le mazze e i mercanti accatastato la merce. Nella campagna a sud, la paglia sporca attende il sonno del contadino stanco, mentre nel castello sulla collina le serve gettano petali di rosa sul letto del re.
La Scimmia non dorme. La Scimmia attende. Gioco e giocatore.
Forse la bocca del pozzo le sussurra parole che solo lei può sentire. Parole mute all’orecchio umano.
La Scimmia sorride. Giaco le si avvicina con gambe tremanti; la fronte è una cascata di sudore e la puzza che emana dalle ascelle è tanto forte da disorientarlo. Ma c’è un fetore innaturale che va oltre la portata di qualsiasi senso. Vorrebbe trovarsi altrove, fosse anche nella locanda pidocchiosa in cui Nemo lo ha trovato. Ha paura: come i muli conoscono il sentiero, lui riconosce il pericolo.
«Il gioco è semplice» bisbiglia la Scimmia. «Dimmi cosa vedi in fondo al pozzo.»
Giaco osserva. Vede oscurità e null’altro.
«No no non sto a capì.»

«Dimmi cosa vedi in fondo al pozzo.»
Giaco esita; aveva accettato la proposta di Nemo pensando si trattasse di un gioco basato sulla forza fisica. Non è mai stato bravo a rispondere alle domande; ha trascorso gli anni delle elementari ad accudire i porci di suo zio. Ma a una domanda banale, forse corrisponde una risposta che lo sia altrettanto.
In fondo al pozzo c’è…
«Buio.»

«Ohhh, se la ragione fosse degli sciocchi, la tua risposta sarebbe corretta.»

Giaco er Bestia vorrebbe riversare sulla creatura che gli sta davanti mille epiteti, ma il terrore lo immobilizza. E quando la Scimmia spalanca le fauci, l’ uomo non ha più una testa per pensare.

La Scimmia si volta verso Nemo. «Ohhh,» Prima deglutisce, poi infila una zampetta in bocca. «non posso tirarti fuori dal pozzo, al massimo posso darti l’ultimo pezzo di carne che mi è rimasto; è buona. Hai fame?»

***

«Ohhh, non posso tirarti fuori dal pozzo, al massimo posso lanciarti l’ultimo pezzo di carne che mi è rimasto; è buona. Hai fame?»

«Fori, pe favoe!»
«No no no, non se ne parla. Io detesto voi esseri umani, perdonami ma non vi sopporto proprio! Sembra che tutto vi sia dovuto. Sai che ti dico? Non vi è dovuto un bel nulla. E poi se sei finito in fondo al mio pozzo un motivo ci sarà.»

«Ti prego…»

«Bene. Così va già meglio.»

«…tirami fuori!»

Adesso non c’è più Nessuno in fondo al pozzo. L’uomo senza nome osserva la creatura acquattata sul bordo di pietra. Assomiglia davvero a una scimmia, ma allo stesso tempo è molto diversa da quell’animale. Tra le zampette anteriori stringe un pezzo di carne.

«Se stai pensando di fare qualcosa di avventato, ti consiglio di desistere. Tu adesso sei ancora laggiù in fondo, ma questa illusione che ho creato potrebbe trasformarsi in realtà.»
L’uomo crede alle parole della Scimmia; il puzzo penetrante dell’umidità non abbandona le sue narici, e il chiarore opaco che avvolge lo spazio che si apre davanti ai suoi occhi è un inganno.

«Ma non posso tapparmi le orecchie al suono della tua preghiera. Ohhh, sapessi quanto mi è piaciuto quel tuo ti prego. Sembrava così sincero, e io so quanto voi umani siate restii alla sincerità.»

Nessuno raccoglie coraggio. «Cosa devo fare per essere libero?»

La Scimmia sorride. «Un gioco. Se vincerai, sarai libero. Che ne dici?»

L’uomo che in verità non ha mai abbandonato il pozzo, annuisce.

«Avvicinati, le regole sono molto semplici…»

Nessuno ascolta. L’oscurità inghiotte il pezzo di carne.

«Mangia, umano. Così sigilliamo il nostro patto.»

***

Il “Benvenuti a Mantua” del Podestà, affacciato alla finestra del suo sontuoso palazzo, sancisce l’inizio della settimana del mercato. Dicono che ognuno può trovare quel che cerca tra le bancarelle variopinte e non ho motivo per dubitarne. Qui il sudore acre della folla si mescola al profumo della frutta. Il richiamo dei mercanti fa eco alle canzonette strimpellate dagli straccioni. Avanzo; offro sorrisi a nessuno in particolare e annuisco di fronte a un ometto intento a decantare le lodi del suo improbabile Elisir di lunga durata. Mi infilo in un vicolo; evito i resti di un pasto non digerito. Un giovane garzone con le scarpe consumate ci finisce dritto in mezzo. Prima impreca, poi mi lancia un’occhiataccia. Ricambio. Un istante. Due esistenze che si sfiorano.
Man mano che mi addentro nella città vecchia, i suoni della festa sfumano sostituiti da quelli banali della quotidianità: massaie con braccia lardose sfregano stracci e li immergono in tinozze maleodoranti mentre i loro sudici marmocchi corrono a piedi scalzi. So dove devo andare: dove l’odore del vino da quattro spicci è più forte dei pensieri.
Spalanco il portone della locanda “Il grasso bevitore”. Un paio di rutti sonori mi danno il benvenuto. Nessuno si gira a guardarmi.
«Buongiorno» esordisco. «Qualcuno vuole guadagnare sette monete di bronzo?»

8 commenti su “Il gioco della scimmia”

  1. Ciao! Mi sono tenuta questo racconto come uno degli ultimi da leggere. Ero molto curiosa di vedere come avevi sviluppato la traccia. Inizio subito con il dirti che a me è piaciuto davvero tanto: funziona il loop, funzionano i protagonisti e anche il dialetto. La prima parte, poi, davvero molto bella. Un po’ brusco, forse, il passaggio dalla terza alla prima persona, ma questi giochi sono fatti per raccontare storie e per osare, e tu ci hai provato. Per me promosso a pieni voti!

    1. Troppo, troppo e troppo gentile.
      Mi rendo conto che, nel tempo di un racconto, il passaggio tra realtà (prima persona) e mondo magico/onirico (terza persona) non rende a dovere. Ma io ragiono sempre nell’ottica di un romanzo.
      Trasportare un’idea tipicamente cinematografica (il loop) su carta è stato forse un azzardo. Ho provato.😅

  2. Mi è piaciuta molto l’interpretazione della traccia! Mi ha dato l’idea, nel leggerlo, di un’ambientazione stile “il racconto dei racconti” (film che consiglio a tutti quelli che non lo hanno mai visto).
    Anche io, se devo essere sincero, mi sono perso in alcuni capoversi ma rileggendolo con calma si recupera facilmente. Davvero una bella idea!

  3. Alessandro Pilloni Ser. P

    Il cambio tra terza e prima persona mi ha creato confusione e mi sono un po’ perso. Non ho capito chi è chi. Però l’idea del loop mi ha affascinato. Non ho gradito il dialetto, perché mi veniva da leggerlo tipo imitazione del veneto e mi faceva involontariamente ridere.

    1. Ciao, mi sono accorto del problema tra prima e terza persona. Avrei dovuto evitarlo.
      Per quanto riguarda il dialetto, se ti ha fatto ridere ho ottenuto il risultato che volevo.
      Alla fine poteva uscire un gioco migliore, ne sono cosciente, ma sono mediamente soddisfatto.

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