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Sei sicuro? – Dart Fender lo guardò con quei suoi occhi rossi capaci di riscaldare.

Non ho tempo per chiedermelo, qui è questione di dovere, non di opportunità, me l’hai insegnato tu, no? – gli rispose, determinato, Zenz Hero.

Bene, per fortuna uno di noi due sa cosa sta facendo, perché io tutta questa tua sicurezza non la ho. Non lo abbiamo mai fatto, nessuno dei PrestaPezzi lo ha mai fatto. Ci stiamo muovendo in un terreno sconosciuto. – Gli occhi rossi di Dart Fender si infiammarono ancora di più, di una fiamma fredda, tendente al blu.

Zenz Hero si guardò le mani, sospirando. Poi rivolse l’attenzione al corpo di quell’uomo disteso a terra, e alla donna inginocchiata accanto, che lo fissava chiedendogli un miracolo che solo lui poteva compiere.

I PRESTAPEZZI

Tempo prima.

Il Concilio dei Nove era riunito attorno al tavolo a forma di nastro di Moebius. Seduti sulle rigide poltrone erano in otto, e attendevano. La porta della Sala Conciliare si spalancò agitata, e Dart Fender irruppe trafelato e gioioso, portante notizie.

Rallegriamoci, Confratelli. E’ nato! – annunciò raggiante, sollevando oltre la testa un neonato – Il figlio di Acqua e Limone. E ha ereditato il dono!

Gli otto al tavolo esultarono. L’ultimo a nascere in possesso del dono era stato Volgazio, ormai oltre trent’anni prima. Proprio lui si alzò per primo a tenere tra le braccia il bambino, adorandolo come la promessa di un dio che finalmente si realizza.

Si chiamerà Zenz Hero – Proclamò Messer Nasser, il Presidente del Concilio, e tutti i nove alzarono in aria i loro calici e brindarono al nuovo nato.

Il Bambino fu cresciuto secondo la tradizione dei PrestaPezzi, forgiato e temprato al suo destino sin dai primi giorni di vita. Sua madre Acqua lo allattava con dedizione, mentre Limone, suo padre, lo educava come un perfetto cittadino.

Ai Nove il compito di istruirlo nell’uso del proprio dono, a Dart Fender fu affidato il ruolo di Padrino.

Il dono era bizzarro, non tanto nel senso di strano, ma proprio riguardo alla bizze. Si manifestava inconsciamente, ragion per cui andava guidato, arginato e reso mansueto.

Tutta la comunità faceva affidamento su quel piccolo bambino, che cresceva in salute e grazia, e che rappresentava la nuova fonte di guadagno, e quindi di vita, perché il dono degli altri ormai appassiva, e la commesse erano sempre meno, e i debiti sempre più.

Dart Fender lo osservava, mentre gattonava incredulo e desideroso del mondo che lo circondava. E lo vedeva inciampare e cadere, quando si smembrava. Ed ecco che gattonava a intermittenza su tre arti, poi arrancava su due, si trascinava su uno, strisciava quando ne era privo.

La regola dei quindici giorni era tassativa, e Zenz Hero la rispettava alla perfezione. I Nove avevano cercato in ogni modo una soluzione, ma nemmeno tutte le loro alchimie erano servite: era uno dei dogmi del dono.

Chiaramente, nella fase pupale, era impossibile stabilire chi godesse dei prestiti involontari, e di certo anche scoprendolo non si sarebbe potuto fatturare il servizio, oltretutto non richiesto, e nella maggior parte dei casi imbarazzante – ad andar bene! – se non mostruoso, pericoloso e angosciante per chi lo riceveva. E questo era uno dei motivi, se non il principale, per cui la comunità viveva relegata sugli impervi monti, separata dal resto della società civile, ancora scossa dalla lapidazione dei Vor Peren, l’ultima famiglia di possessori che aveva avuto l’ardire di trasferirsi in città.

Accadde questo, che un giorno, immerso in un dolce amplesso con la moglie, il sindaco di Moltovia si ritrovasse con due membri in erezione. Il suo, avvolto tra le grazie umide della consorte, e un altro, ritto sulla fronte. Inaspettato prestito che costò alla first lady anni di terapia e al sindaco la poltrona, perché girare con un cazzo in faccia per la campagna elettorale non gli portò nuovi elettori, anzi fece allontanare pure i vecchi sostenitori. Si scoprì, poi, che il pene secondario era proprietà di Martin Von Peren, sceso dai monti in città insieme alla sua famiglia, convinti sostenitori dell’inclusione tra specie. Ma i cittadini non furono dello stesso avviso. E al grido di bruciamo i demoni, li legarono a un palo e li usarono come bersaglio per pietre, prima piccoli sassolini, poi macigni, fino a lasciarne poltiglia.

Ma, nonostante tutto, quella civiltà che tanto li odiava, quando si trovava in grosse ambasce si rivolgeva a loro, disposta a ben pagare pur di poter usufruire dei benefici del dono.

E il dono era invero particolare, concedeva una nuova possibilità a chi ormai pensava che il danno fosse irreparabile. Dono temporaneo, certo, ma barattereste voi il vostro vil danaro pur di riappropriarvi dei un arto perduto, anche se solo per quindici giorni? E questo era il patto contrattato tra gli umani e i PrestaPezzi, nient’altro che un mercimonio d’arti, muscoli e apparati, che potessero riempire il vuoto causato da un incidente, di una mano mozzata in cantiere da una sega a nastro, di una gamba amputata dopo una caduta con la moto, di un fegato guastato dall’ebbrezza del vino.

Certo, il contrappasso per i PrestaPezzi era pesante, ma a questo serviva l’addestramento, non solo a controllare lo smbramento a proprio servizio, ma anche a convivere – e pure sopravvivere – in mancanza del pezzo offerto in comodato.

E Zenz Hero le imparò tutte, queste arti. E con grande orgoglio dei suoi genitori, si dimostrò uno dei più dotati, tanto che i nove già pensavano a quando avrebbe preso posto tra loro, sostituendo il più vecchio, che non attendeva altro che il suo sostituto.

Ed era pure l’orgoglio di Dart Fender, che riversava su di lui tutto il proprio sapere, mettendolo a conoscenza di tutti i segreti riguardanti il dono.

Così, a sei anni, Zenz Hero sapeva già controllare lo smembramento a suo piacere. E si divertiva allenandosi con gli animali presenti nel villaggio. E si potevano osservare gatti con una mano sulla schiena, o cavalli con quattro zampe, un lungo pene e una gamba di bambino a penzoloni dal culo, o cani con tre occhi.

E giunse presto il suo primo contratto, quando il bimbo di due signorotti della bella borghesia cittadina fu investito da un’auto in folle corsa, e i medici non poterono far altro che amputargli entrambe le piccole gambine, tranciate a metà dalle pesanti ruote della macchina che gli passò sopra. Zenz aveva 8 anni, e al villaggio si fece festa per la sua iniziazione. I nove esultarono, Dart Fender in particolare si commosse come alla nascita di un figlio.

Messer Nasser, in qualità di Capo del Concilio, contrattò il prezzo, e sottoscrisse il contratto. Un prestito decennale, una volta al mese, in cambio di una rendita che avrebbe permesso all’intera comunità di vivere senza eccessivi stenti. Acqua e Limone si strinsero l’un l’altro, ringraziando con lo sguardo verso l’alto dei cieli il dio dei Pezzi, che aveva onorato la loro famiglia con il suo tocco pregiato.

Così, ogni quindici giorni, Zenz Hero si spingeva con le mani sulle ruote di una carrozzina, mentre il tal Pancrazio Della BitterTorten poteva riassaporare il gusto di una bella passeggiata.

Negli anni a venire, quando un braccio, quando un orecchio, quando la lingua, ogni suo pezzo fu ceduto in prestito a cittadini paganti, e la comunità crebbe in ricchezza e nomea, sino a superare i propri confini.

Zenz Hero era l’orgoglio di tutti, e lui in cuor suo si sentiva speciale, e non provava nostalgia, nemmeno temporaneamente, per i pezzi che gli venivano a mancare. Era dedito al proprio compito, la sua missione. Sapeva che da un grande dono derivano grandi mancanze, e lui le compensava con l’affetto dei propri cari e del suo mentore.

Dal caso dei Von Peren, non capitò più che un membro della comunità si spingesse all’esterno, erano sempre i cittadini ad arrampicarsi per l’erta montagna per chiedere un prestito. Giunto all’età di ventisette anni, Zenz Hero manifestò, però, il desiderio di visitare il mondo al di fuori dei confini, e il Concilio, di cui ora anche lui faceva parte, si riunì per votare su tale richiesta. Naturalmente era un atto che avrebbe potuto avere ripercussioni sull’intera comunità: e se fosse accaduta un’altra tragedia come ai Von Peren? Troppo richioso! Zenz Hero era la principale fonte di rendita dei PrestaPezzi, non si poteva fare. La città era un lastricato di pericoli. Nonostante il bene ricevuto, per gli esseri umani loro erano sempre e comunque dei diavoli. Ma Zenz Hero in quell’occasione fu irremovibile. Pose la realizzazione del suo desiderio come condizione per il prosieguo del proprio lavoro. Di fronte a tanta determinazione, Dart Fender si espose in prima persona per perorare la sua causa, e il Concilio si espresse in voto segreto, a maggioranza, e il giovane Zenz Hero ottenne il benestare per visitare il mondo esterno.

Complice un periodo di pausa dai prestiti, in cui dunque poteva contare su tutti i propri arti e pezzi vari, perfettamente ricresciuti nei quindici giorni seguenti allo smembramento, Zenz Hero, accompagnato obbligatoriamente dal padrino Dart Fender, attraversò il cancello che delimitava la riserva e si affacciò al mondo esterno, restando stupito dalla vastità e varietà di cose, luoghi e persone che gli erano sconosciute, e che mai avrebbe potuto immaginare. Dart Fender lo seguiva come un’ombra, vegliando su di lui e impedendo che rivelasse la sua vera natura, a rischio dell’incolumità di entrambi, ma anche dell’intera comunità, che dopo il caso Von Peren, quando l’esercito si presentò al cancello della riserva, per nome di Messer Nasser, si impegnò a non valicare mai più quei confini, dato che il dono aveva comunque un raggio d’azioni limitato in chilometri. Essere scoperti avrebbe dunque segnato la fine dei PrestaPezzi, alla faccia dei contratti in corso e dei possibili vantaggi. Scendere a patti col demonio andava bene, sino a che il demonio restava confinato nel proprio inferno.

La gita di piacere nel mondo degli umani procedeva senza intoppi. Zenz Hero scopriva con emozione la realtà esterna, e se ne beava. Il suo animo era sazio di tutta quella conoscenza, ma l’ultimo giorno, la notte prima di tornare alla riserva, espresse il desiderio di bere una birra in un locale del centro della città. Essendo andato tutto bene sino ad allora, Dart Fender non trovò nulla da eccepire. Così, si sedettero al tavolo e ordinarono da bere. E galeotto fu il vassoio e chi lo posò sul tavolo. Zenz Hero si rese conto di un aver mai visto coi propri occhi cosa più bella in vita sua. La cameriera di chiamava Antanel, e ricambiava i suoi sguardi e i suoi sorrisi. E Dart Fender si pentì di aver acconsentito. Perché quella stessa notte, Zenz Hero sgattaiolò di nascosto dall’alloggio, e si incontrò con Antanel, e passò con lei ore di piacere. Piacere tanto piacevole che continuò a scavalcare in gran segreto il confine della riserva, fatto di cancello e staccionata, per raggiungerla in città, e amarla segretamente. E quando era impegnato in un contratto, le recapitava dei messaggi per lettera, lasciandogliele di nascosto, senza che lei lo vedesse. Ma un giorno, monco di gamba sinistra e braccio destro, non fu tanto abile e lei, sentito un rumore sospetto, uscì di corsa e lo trovò, e svenne di dolore alla vista di lui in quelle condizioni. E quando si riebbe, Zen Hero non poté far altro che raccontarle la verità. E come se anche lei avesse il dono, vide nel suo sguardo l’amore svanire, smembrarsi come il suo corpo. E capì che quella era la fine.

Non la vide ne sentì più. Struggendosi mesto per il proprio destino, odiando il dono e la sua specie. E non lo poté consolare né l’abbraccio della madre, né l’amichevole consapevolezza del suo mentore, a cui in un moto di disperazione raccontò tutto.

E quando, tempo dopo, era riuscito a sanare la ferita del proprio animo, Antanel gli apparve, leggermente modificata nell’aspetto, tanto che pensò a un’allucinazione, ma quando la vide scortata da alcuni dei nove capì.

Qualcuno portava una lettiga, sulla quale giaceva un uomo in grande sofferenza, come quella della donna che amò, che ora si prostrava innanzi a lui e gli chiedeva di firmare quel contratto. Suo marito moriva, aveva bisogno di nuovo cuore, ma le liste per i trapianti erano lunghe, e i due sposi non potevano contare sui denari necessari per scalare le graduatorie.

Ti prego, tu puoi, salvalo! E’ tutta la mia vita! – lo implorava Antanel.

Zenz Hero restava immobile, assorto nei ricordi dei loro momenti d’amore, e di quella sofferenza che provò quando lei lo cacciò, odiandolo come uno schifo da lavare con lana d’acciaio.

Pensò e pensò. Ascoltò le voci dei Nove e del suo maestro in particolare. E dei suoi genitori. E poi quella del suo cuore. Poi disse di preparare il macchinario.

Lo avrebbero collegato a un cuore artificiale, mentre i quindici giorni passavano, e così avrebbe fatto sino a che non fosse stato trovato un donatore.

Antanel si inginocchiò su di lui, piangendogli i piedi, come a un prodigioso messia, chiedendo perdono per ciò che fece, e amandolo di gratitudine.

Sei sicuro? – Dart Fender lo guardò con quei suoi occhi rossi capaci di riscaldare.

Non ho tempo per chiedermelo, qui è questione di dovere, non di opportunità, me l’hai insegnato tu, no? – gli rispose, determinato, Zenz Hero.

Bene, per fortuna uno di noi due sa cosa sta facendo, perché io tutta questa tua sicurezza non la ho. Non lo abbiamo mai fatto, nessuno dei PrestaPezzi lo ha mai fatto. Ci stiamo muovendo in un terreno sconosciuto. – Gli occhi rossi di Dart si infiammarono ancora di più, di una fiamma fredda, tendente al blu.

Zenz Hero si guardò le mani, sospirando. Poi rivolse l’attenzione al corpo di quell’uomo disteso a terra, e alla donna inginocchiata accanto, che lo fissava chiedendogli un miracolo che solo lui poteva compiere.

Quindi si stese su una lettiga, chiuse gli occhi, sospirando. Immaginò il proprio cuore, visualizzandolo, lo sentiva pulsare. Pian piano sentì il petto più leggero, mentre percepiva punture d’aghi e lacerazioni di bisturi. Poi tutto si spense. E la sua realtà divenne una linea tratteggiata fatta di sistole.

Ser. P.

9 commenti su “I PrestaPrezzi”

  1. Finita la lettura, gustata parola per parola. Storia interessante, si presterebbe anche a essere approfondita. L’ho trovata una fiaba per adulti, nel senso positivo del termine. La rileggerò sicuramente con calma per coglierne ogni sfumatura. Qualche piccola sbavatura nella forma, ma a mio parere una bella prova.

  2. Ora mi metto a leggere il tuo racconto, ma sappi che non puoi scappare da una domanda: visto che io e Dbones ti abbiamo “soffiato” la traccia, come avresti sviluppato la traccia due? Ora, a storie narrate, posso togliermi la curiosità di chiedertelo 🙂

    1. Alessandro Pilloni Ser. P

      Non saprei dirti, in effetti. Sicuramente qualcosa di malinconico, in linea col mio stile. Avrei puntato molto sulla solitudine del protagonista. Però non ho avuto il tempo per pensarla, solo desiderarla.

  3. Una storia interessante, mi ha ricordato molto alcuni film fantasy anni 80\90.
    Probabilmente avrei preferito un protagonista più complesso, magari piu incline alla brama di potere e consapevole di avere un grande potere in grado di sottomettere la propria comunità, per poi cambiare e tornare dal “lato buono della forza”.
    C’era spazio per un evoluzione dei personaggi, ma Il tempo ci ha tagliato le gambe un po’ a tutti ahaha

  4. Una strana storia. Leggendo la traccia mi ero immaginata un personaggio cinico e senza compassione, con un potere che sembra più una condanna che un dono di cui andare fieri, come invece lo vivono i tuoi PrestaPezzi. La tua visione, tuttavia, mi ha portato a empatizzare con Zenz da subito, tanto che avrei desiderato per lui un lieto fine, ma forse per lui lo è stato, chissà!
    Dal profondo del mio animo nerd ho apprezzato anche le varie citazioni sparse qua e là, come spezie gustose che insaporiscono la narrazione.

    1. Alessandro Pilloni Ser. P

      Ti ringrazio. Per quanto al potere è in effetti sia un dono che una condanna, e la comunità nel corso dei secoli ha imparato a gestirlo e a sfruttarlo: una sorta di risarcimento. Non so se per Zent finisce bene o male, ho lasciato aperta quella porta.

    1. Alessandro Pilloni Ser. P

      Sì, e concordo. Diciamo che è il frutto del poco tempo che ho potuto deducargli e mi sono dovuto adattare. Ne è venuta fuori una storia raccontata, più che vissuta, come in effetti preferisco.

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