Un racconto di Stella Oscura
Traccia 2: “Non volare” disse la madre al bambino. “Non volare mai!” lo minacciò con un paio di forbici in mano. “Non saltare neanche!”. Puoi camminare, meglio strisciare. “Striscia i piedi, sii pigro, pesante. Se scoprono che sai volare ti uccideranno. Non subito, non presto, ma ti guarderanno finché non darai loro una scusa per farlo. Quel giorno lo faranno. Venerano le mura. I muri sono Dei. Non salire mai più in alto di un Dio. Non oltraggiare il Dio, non volare, non imparare, non scoprire.”
Ho visto una luce fioca, ieri, oltre il buio delle mura.
PRIMA LEGGE DELLE MURA – NON ESISTE NIENTE OLTRE LE MURA.
Mentre ero appeso e dondolavo, i capelli fluttuavano nel vento. I piedi erano immobili, e un’ala era rimasta attaccata a un filo invisibile.
Si scorgeva appena quel bagliore, ma ero certo che fosse vero e non un frutto della mia immaginazione.
SECONDA LEGGE DELLE MURA – NON SFIDARE LE MURA. NON VOLARE, TEMI LA MANCANZA DELLA CADUTA.
Ed era assurdo quello che vedevo: qualcosa dove non doveva esserci niente. Perché se mai c’era stato qualcosa, là fuori, oltre le mura, non c’era più. Era tutto finito.
L’unico e l’ultimo confine del mondo: le mura di Lumecha.
TERZA LEGGE DELLE MURA – IN CERTI CASI, MEGLIO RIPETERE: NON ESISTE NIENTE OLTRE LE MURA.
Peccato che fossi bloccato da un soffitto di vetro opaco, scuro come la pece. E la carta moschicida mi teneva stretto a sé, nel suo abbraccio, nella sua morsa. Ma io non potevo rimanere lì e più di tutto non lo volevo: ho fatto forza sulle braccia e ho tirato.
QUARTA LEGGE DELLE MURA – NON ESISTONO LE ALI. GLI UOMINI-LIBELLULA NON HANNO MAI AVUTO LE ALI. CHI SOSTIENE IL CONTRARIO, MENTE.
Croc.
Ho staccato l’ala dalla trappola appiccicosa e nel farlo si è strappata. Una lacerazione piccola, ma profonda, tuttavia non così grave da compromettere la possibilità di volare.
Certo, avrei voluto gridare per il dolore, ma ho strizzato gli occhi e stretto i denti. Non ho pianto. Sono rimasto sospeso per qualche istante, cercando di capire come uscire dalla città e dalle sue maledette mura. E poi non mi sentivo più solo: c’erano quella luce lontana e il ronzio delle mie ali.
Andarsene via, lontano, in qualche modo. Non dal cielo. Non ci sono Dei nella notte, non si vedono neanche le stelle. Non qui, tra gli scorci incorniciati dalle mura di Lumecha: una prigione mascherata da fortezza.
In fondo me lo aveva detto anche mia madre: non volare. A noi uomini-libellula non è più concesso.
***
“Non dirlo a nessuno” disse Pokma a Esmyr quando le passò il corpo del figlio. “Dì che è nato morto” proseguì. “Gettalo, seppelliscilo dove non potranno trovarlo. Anzi: brucialo. Affidalo al fuoco, purificalo”.
La madre guardò il bambino e pianse. Era diverso dagli altri perché era imperfetto. Uno scherzo della natura: un neonato di uomo-libellula con due piccole punte sporgenti a un centimetro e mezzo da ciascuna scapola. Sarebbero sbucate lì le ali, un giorno. E quando fosse accaduto, sarebbe stato in grado di volare. Potevano volerci anni, forse lustri, ma il suo destino era segnato.
Fayel era nato così, eppure non dovevano essercene più: i calabroni metallici avevano portato all’estinzione gli esseri alati settanta anni prima. I pochi discendenti degli uomini-libellula scampati allo sterminio erano tutti senza ali. Adesso gli esseri viventi erano terreni: potevano camminare, scivolare, strisciare, ma non volare. Avevano perso le ali. Tutti, tranne Fayel e…
Esmyr lo mise giù, nella parte più buia del cortile, a contatto con la terra brulla, e attese.
“Quanto pensi di restare lì?” le chiese Pokma quando le sirene della prima Luna suonarono.
“Il tempo necessario”.
Il necessario non era arrivato ed Esmyr si era stancata di aspettare. Quando tra le mura di Lumecha risuonò la quinta Luna, avvolse il bambino in una coperta grigia e lo portò in casa.
“Almeno nascondi quelle robe là. Non dovrà mai saperlo. Non dovrà mai sospettare di avere le ali. Hai capito?”
“Sì, mamma”.
***
Ma Fayel, un giorno, scoprì il desiderio di volare.
“Non volare” disse la madre al bambino. “Non volare mai!” lo minacciò con un paio di forbici in mano. “Non saltare neanche!”. Puoi camminare, meglio strisciare. “Striscia i piedi, sii pigro, pesante. Se scoprono che sai volare ti uccideranno. Non subito, non presto, ma ti guarderanno finché non darai loro una scusa per farlo. Quel giorno lo faranno. Venerano le mura. I muri sono Dei. Non salire mai più in alto di un Dio. Non oltraggiare il Dio, non volare, non imparare, non scoprire.”
Fayel la fissò come fosse la prima volta: non l’aveva mai vista così, anche se era spesso triste e arrabbiata.
“Prima o poi ce ne andremo, mamma”, le aveva detto quando gli era sembrata giù di morale. “Te lo prometto”.
“Non esiste niente oltre le mura”, aveva risposto Esmyr.
“Secondo me sì”.
“Sei solo un bambino, Fayel. È l’ora di crescere”.
Fayel era cresciuto e con lui le sue ali.
QUINTA LEGGE DELLE MURA – NON SFIDARE LE MURA. NON ARRAMPICARTI, TEMI LA CADUTA.
Sono arrivato a casa e lei stava dormendo: sdraiata dove doveva esserci il pavimento, le mani tra la terra e il viso. Che posto è questo? Possiamo solo camminare e strisciare, costringere gli altri a cibarsi della polvere che alziamo, senza volerlo, a ogni nostro movimento.
“Fayel”, mi ha detto. “Fayel, puoi fare meno rumore?”
“Non volevo svegliarti, mamma. Scusa…”
“Il ronzio… Quel ronzio delle ali. Fallo smettere”.
A volte succede quando sono felice o stanco o triste. Quando sento un’emozione troppo forte, le ali iniziano a vibrare e le punte arrotondate si scontrano tra loro.
“Ci provo…”
“Dove sei stato?”
“Oh, in nessun posto. Qui intorno, non è che ci si possa allontanare da Lumecha”.
Ho sorriso, ma mia madre non ha ricambiato e la cosa non mi ha meravigliato: non l’ha mai fatto da quando ne ho memoria.
“Adesso vai, è tardi”, ha concluso prima di chiudere di nuovo gli occhi. Così avvolta nella sua veste scura, sembrava un animale nel bozzolo.
“Buonanotte, mamma”.
Ho accolto il silenzio della sua risposta e mi sono messo all’opera. Ho cercato scale, anche basse, con pochi pioli, perché quelle alte erano state tutte distrutte dopo l’emanazione della quinta legge delle mura. C’era stato un grande falò in cui le avevano bruciate nella piazza centrale di Lumecha, e poi i calabroni meccanici vi avevano trasportato anche tutti i nostri letti. Quando qualcuno gli aveva chiesto perché lo facessero, che problema potessero dare quei mobili, avevano risposto che a Lumecha era impedito volare, anche in sogno.
I calabroni avevano ridisegnato i contorni delle nostre case e spostato le finestre in alto, quasi vicino al tetto, per consentire alla luce di passare, ma per impedirci di vedere quello che accadeva là fuori e più lontano, oltre le mura della città.
È come vivere nel buio, è come essere ciechi.
Ho cercato una scala, ma non l’ho trovata. Mi sono fatto coraggio e ho trascinato un vecchio baule, una sedia di ferro e una grande scatola piena di disegni e di ricordi di quando ero bambino. Lì, sulla mia costruzione attaccata alla parete, ho tentato l’arrampicata, ma ho fallito: sono caduto.
Sono rimasto a terra, con le ali schiacciate dal piccolo peso del mio corpo. Ho pensato che fosse arrivato il mio momento e ho atteso, invano. Desideravo essere sicuro che la luce arrivasse fino alla mia finestra, ma ero crollato prima di conoscere la risposta.
“Fayel”, ha ripetuto mia madre affacciandosi sulla soglia della mia stanza spoglia. “Fayel, puoi fare meno rumore?”
“Scusa, mamma”, ho sussurrato. Ho morso il labbro inferiore per trattenere il pianto e un grido di dolore.
“Mam…”
Se ne era già andata.
La mia scala di fortuna era a pochi passi da me, distrutta.
E forse era solo un’allucinazione quella che si parava davanti ai miei occhi da quello strano punto di vista. Ma c’era una luce, minuta e decisa, che rischiarava un piccolo spazio buio oltre la finestra, oltre le mura.
***
SESTA LEGGE DELLA MURA – FIDATI DEI CALABRONI.
“Non dirlo a nessuno, per favore”, la pregò Esmyr.
Pokma non rispose.
“Mamma, è già difficile così…”, proseguì.
“Vorrei dirti che non è colpa tua, ma non posso”.
Esmyr si avvicinò al bambino: le piccole ali sbucavano dalla candida veste che indossava.
“Devi fasciarlo. Procurati delle bende, falle girare intorno alla sua schiena. Stringi, stringi più forte che puoi. Non aver paura di soffocarlo. Se è destino che viva, troverà il modo di respirare”.
Fayel sospirò nel sonno e si voltò verso la madre e la nonna. I suoi occhi chiusi si fissarono su di loro.
“Non voglio fargli male”, disse Esmyr.
“A questo ci penseranno loro”.
SETTIMA LEGGE DELLE MURA – SE VEDI QUALCOSA DI STRANO, NON PORTI DOMANDE. CONFESSA AI CALABRONI: SAPRANNO AIUTARTI.
“Mamma…”
“Sì, Esmyr?”
“Non andare dai calabroni. Lo curerò!”, gridò la madre, mentre la nonna si chinava sul bambino. “Non portarlo da loro, ti prego!”
Gli occhi di Pokma si fecero piccolissimi; la vecchia spalancò la bocca che rimase muta e poi si diresse verso l’uscita.
“Avresti fatto meglio a ricacciarlo da dove era venuto”, rispose.
“Non dire così! Non farlo!”
“Hai ancora qualche anno di tempo, ma prima o poi ci penseranno loro. I calabroni meccanici vedono tutto”.
Gli occhi di Esmyr si posarono colmi di lacrime e di odio sul corpicino alato.
“E ricorda: quel giorno probabilmente io sarò già morta. Ma questo qui tornerà finalmente dove merita di stare”.
OTTAVA LEGGE DELLE MURA – NON ESISTE NIENTE OLTRE LE MURA. RIPETI QUESTA LEGGE OGNI GIORNO, ALLO SCOCCARE DELLA SETTIMA LUNA.
Esmyr seguì la madre fuori dalla casa e poi alzò gli occhi al cielo cupo e scuro. Cercò di scorgere la Luna, ma da lì era impossibile. In quel momento la settima Luna risuonò nella piazza: con gli occhi colmi di lacrime e la bocca muta, ripeté l’ottava legge delle mura.
NON ESISTE NIENTE OLTRE LE MURA.
***
Se non posso volare, chi ha detto che non c’è altro modo per lasciare Lumecha?
Ho cercato per tutta la mattina una breccia nella recinzione.
“Le mura sono Dei, ma possono comunque sbagliare”, ho sussurrato, sperando che la buona sorte posasse il suo sguardo su di me e mi accompagnasse in questa ricerca disperata.
E ho girato e rigirato, controllato fino ad avere la vista annebbiata. Mentre il cappotto con la sua stoffa batteva sulle ali che avrebbe dovuto proteggere, ero così stanco da non riuscire ad alzare un piede dopo l’altro, a camminare. Potevo ancora provare a strisciare.
Un calabrone si è avvicinato e mi ha scrutato con i suoi occhi cupi.
“Bzzz…”
“Me ne stavo andando”, ho farfugliato.
“Bzzz…”
“Prima legge delle mura…”, ho iniziato trascinando i piedi, mentre le mie ali ronzavano per l’agitazione. Ho sperato che non sentisse il loro rumore.
Ormai era chiaro quello che mi restava da fare: strisciare, e poi scavare.
***
“Fayel?”
“Sì, mamma?”
“Che cosa stai facendo?”. La voce della giovane donna stava tremando.
“Che cosa sono, mamma?”
Il bambino si voltò e fissò la donna con gli occhi spalancati.
“Che cosa sono? Non le voglio!”, gridò.
“Fai piano, o ci sentiranno”, sussurrò la madre.
“Falle sparire! Falle sparire!”
“Non volare. Qualsiasi cosa ti succeda, non volare mai”.
Fayel chiuse gli occhi, confuso. Provò a toccarle e si tagliò tanto era veloce il loro movimento.
“Comportati come gli altri. Se rivelerai chi sei davvero, morirai”.
Il bambino immaginò di volare tra il vento nell’aria turchese, tra le foglie arancioni dell’autunno e le nuvole che timidamente velavano il cielo. Quella notte sognò di prendere per mano Esmyr e di fuggire da Lumecha e dalle sue lugubri mura.
“Non essere stupido”, lo ammonì la madre, la mattina dopo, al risveglio “non esiste niente oltre le mura”. Poi lo lasciò solo, davanti allo specchio. Un pugno del bambino mandò in frantumi il riflesso, ma non il sogno di volare lontano.
***
NONA LEGGE DELLE MURA – CONTANO SOLO LE MURA.
Ho recuperato lo stretto necessario: qualcosa per fare luce e delle bacche rosse. Ho stretto il mio tesoro e l’ho nascosto in una tasca dei pantaloni.
Forse dovrò scavare per giorni e giorni. Forse sarò fortunato e troverò una galleria. Magari qualcuno in passato ha avuto la mia stessa idea ed è uscito dalla terra anziché dal cielo.
“Mamma, tornerò presto”.
Non ha risposto.
“Te lo prometto”.
***
“Se ne è andato?”, chiede Pokma.
“Sì…”, risponde Esmyr.
“Hai intenzione di seguirlo?”
“Dove?”
“Ah, questo speravo che lo sapessi tu”.
“Non l’ho chiesto. I calabroni avrebbero potuto essere in ascolto”.
“Non tornerà. Non lo rivedrai più”.
“Sarà libero, mamma?”
“In un certo senso”.
“Mamma… che cosa c’è oltre le mura?”
Esmyr odia il sorriso di sua madre, perché non ha mai portato niente di buono.
“La pace, Esm. Oltre le mura ci sono solo il nulla e la pace”.
Le ali di Esmyr vibrano sotto le fasce strettissime che le rendono impossibile piegare il busto.
“Fayel lo sa?”, chiede la vecchia.
“Che cosa?”
“Delle tue…”
“No, mamma. Non lo sa nessuno”.
Pokma esce dalla casa trascinando i piedi e alzando terra rossa.
Le due minuscole ali di Esmyr sono ancora lì, appena visibili, mentre la giovane donna le libera dalle strette fasciature. Sono molto più piccole di quelle di Fayel, perché lei aveva cercato di tagliarle via e poi di distruggerle. Quando aveva capito che volare via sarebbe stato impossibile, aveva deciso che non avrebbero trovato spazio per maturare. Eppure, di pochi millimetri l’anno, le ali avevano continuato a crescere.
***
Le mura mi sovrastano, ma non mi lascio intimorire.
Cerco una zona nascosta, spero che non arrivino i calabroni. Passo prima un piede, poi l’altro. La terra si sposta, segue le linee del movimento. Aumento la velocità, da marrone chiaro diventa più scura fino a sembrare nera.
Così inizio a scavare con le mani e con le braccia. Non sento la fatica, ma appena un poco di dolore. Mi dispiace per mia madre: tornerò da lei, tornerò da tutti e griderò che fuori c’è la luce, fuori c’è la vita. Verrò per loro, per portarli fuori da Lumecha.
Mi tuffo e mi sposto, appena appena, sempre più in basso. È tutto buio: sopra la mia testa, intorno al mio corpo, sotto ai miei piedi. Accendo la luce che porto con me. Spero che i calabroni meccanici non notino la buca, che non si lancino all’inseguimento. La fortuna, in questa notte infinita, sta fuggendo insieme a me, non mi abbandona: continuando a scavare sotto ai miei piedi trovo una botola con una maniglia piccola. Tiro, la apro. Mi arriva alle narici l’odore pungente di muffa e una scala scende, mi porta in un corridoio. Le ali battono contro le pareti della galleria e scorgo i resti dei mattoni rossi, qualche osso, un pezzo di stoffa – per le mura! Non voglio sapere da dove provengono.
Inghiotto senza masticare una bacca rossa.
Il passaggio procede nel buio e io continuo a strisciare: verso il basso, poi verso l’alto, ancora in basso. Le ginocchia sanguinano sotto il peso del mio corpo.
Infine, la vedo: una piccola apertura da cui proviene una luce fioca.
PRIMA LEGGE DELLE MURA – NON ESISTE NIENTE OLTRE LE MURA.
Mi muovo veloce, non riesco più a resistere. Gattono, arranco, striscio. La luce mi abbaglia e non vedo più niente, ma eccola, è qui, sono quasi…
***
Esmyr aveva deciso di non fare come sua madre quando una notte, allo scoccare della settima Luna, l’aveva trascinata fuori dalla galleria e aveva chiuso con un lucchetto di yalmesh la botola nel giardino di casa.
“Perché? Lasciami, mamma, voglio andare a vedere che cosa c’è là fuori!”
“Non essere sciocca, Esmyr. Lo sai già. Te lo hanno rivelato, è tutto nelle leggi delle mura”.
“Mentono! Avevano anche detto che non esistevano più esseri viventi con le ali e invece…”
“Partorirai un mostro”, profetizzò Pokma.
“Nessun mostro sarà come te…”, sussurrò Esmyr.
“Alle altre entrate penseranno i calabroni”.
“Ma io ho visto quella luce!”
“Hai mai pensato che quello che c’è fuori sia peggiore di quello che c’è qui dentro? Che le mura ti proteggano?”
Esmyr non rispose.
“Dimentica quel tunnel e quella luce. Non si torna da là fuori, non si torna dal nulla”, proferì la vecchia.
***
Potrei sbagliarmi? Potrebbe essere l’aria del sottosuolo a ubriacarmi, a farmi vedere qualcosa che non c’è?
La luce, posso quasi toccarla. Devo solo uscire di qui.
La testa fuori: si vede solo quel bagliore lontano.
Le braccia e le ali: ci sono quasi.
Le gambe e i piedi: esco, abbraccio il niente.
Resto sospeso, galleggio, a metà tra galleria e luce. Mentre la fisso, si spegne. Provo a parlare, ma non ci riesco.
Poi non sento più. Non mi sento più.
OTTAVA LEGGE DELLE MURA – NON ESISTE NIENTE OLTRE LE MURA. RIPETI QUESTA LEGGE OGNI GIORNO, ALLO SCOCCARE DELLA SETTIMA LUNA.
***
Esmyr si alza di scatto, un vuoto d’aria nel petto. Sa che Fayel è morto.
Le ali, staccate dal suo corpo, giacciono sulla terra nuda. Non ronzano più.
A me non sono piaciuti i cambi di persona, personalmente, considerato che i personaggi erano tre, andava usata la terza persona per tutto il racconto, optando per la prima persona invece non avremmo però potuto assaporare il conflitto tra Fayel, la nonna e la madre. Mi è piaciuto il colpo di scena delle ali di Eskmir, perché dai primi passi introduttivi avevo capito che la nascita di Fayel fosse il frutto di qualche gene recessivo venuto fuori. Ho dunque maturato l’idea che come loro ce ne sono molti in giro. La litania delle leggi mi piace, però avrei preferito che fossero state di meno, tre al massimo. Infatti verso la fine, quando Fayel dice prima legge del mura mi è toccato tornare a inizio racconto per vedere quale fosse.
Io non credo che oltre le mura ci sia il nulla, quindi Fayel non è morto, sarà magari sparito dalla percezione sensoriale all’interno delle mura, così come hai mostrato nell’ultima scena, dove ho avuto conferma che in realtà Eskmir era succube di Pokma, e quindi fredda per con Fayel per questo motivo.
A rileggerti!
Ciao Eliseo, grazie del tempo che hai dedicato al mio racconto!
Sulla scelta del punto di vista, so di aver “azzardato” e credo di doverci lavorare. Tendo ad alternare punti di vista diversi, ma forse qui dovevo gestirli meglio. Ragionerò su quanto mi hai scritto.
Sono contenta che tu abbia colto delle piccole anticipazioni velate. Per le leggi, invece, avevo pensato anche di introdurle tutte prima e poi riprenderle in chiusura, per rendere più fruibile il colosso di dettami che c’erano. Tre non mi sarebbero bastate per il tipo di ambientazione che c’è dietro (che probabilmente non traspare del tutto in un racconto così breve).
E allora scrivilo per intero! Se ti serve un beta reader io sono a disposizione
Anche io ho amato molto lo scandire ossessivo della regola e ancora di più la sete di speranza che accompagna Fayel nel suo volo disperato. Il finale sembra chiudere la sua storia, eppure mi lascia l’idea che non sia finito davvero tutto lì. Sarò forse un’inguaribile ottimista, ma continuo a sperare che quella promessa di luce non rimanga del tutto disattesa. Chissà… 😉
Ciao Dulcinea, grazie del tempo che hai dedicato alla lettura!
Ho abbastanza chiara la fine di Fayel, ma penso che potrebbe scatenare un’ulteriore serie di eventi se avessi la possibilità di svilupparla. Ho tirato giù qualche appunto a riguardo.
Mi piace la tua vena ottimista, dovrei prenderne spunto 😉
Alcuni passaggi sono molto evocativi. Il cambio tra prima e terza a volte mi ha confuso, soprattutto perché la terza, almeno così mi è parso, non è sempre ancorata allo stesso personaggio. A un certo punto mi sono perso, complici i nomi molti simili, almeno per me. Ho afferrato il senso del conflitto della storia e dove volesse andare a parare, ma non sono mai riuscito a calarmi davvero nel testo e viverlo sulla mia pelle. Ho trovato la prima persona un po’ asettica e analitica per essere una forma così stretta di narrazione. L’ambientazione di base sembra carina, avrei però preferito un contrasto maggiore coi calabroni, che sono entità nominate per far sapere al lettore che esiste questa minaccia.
Ciao Giattas, grazie per il tempo che hai dedicato alla lettura. Tra i punti in sospeso che vorrei ampliare, ci sono proprio i calabroni. Mi sono resa conto che possono sembrare buttati lì, quando invece hanno anch’essi una loro storia. Spero di avere occasione di rimetterci penna.
Per la confusione sui passaggi di punto di vista, temevo fosse un po’ un punto debole di come l’avevo pensata e scritta. Ci lavorerò sopra sicuramente, grazie!
Sono contenta che tu abbia trovato alcuni passaggi molto evocativi; se poi mi indichi quali, mi aiuti anche così a migliorare. Grazie!
Mi ricorda un poco Carnival Row.
Ma si la strategia dell’alienante ripetizione mi piace, anche se va studiata meglio: una regola troppo lunga da pronunciare rompe l’incanto dell’ossessiva nenia.
Capitani, grazie per la lettura! Non conosco Carnival Row, ma mi documenterò! Grazie anche per la dritta sulla lunghezza delle regole: cercherò di rivedere il testo stando più attenta a questo aspetto.
Bella l’idea delle regole, alienante la loro ripetizione, sino al finale: si sente tutta l’angoscia. Ogni tanto mi son perso nel cambio di voce. Mi è piaciuto.
Ciao Ser P.! Grazie per aver letto. Sono felice che l’angoscia sia arrivata e che la storia ti sia piaciuta 🙂 Per il cambio voce, confermi un mio timore: devo lavorarci su per rendere la lettura più fruibile.
Ciao Stella Oscura, vedo che tu, a differenza mia, hai seguito la traccia piuttosto fedelmente. Hai dato risalto all’importanza delle mura. Il risultato è un Fantasy dal respiro ampio che risulta un po’ limitato nelle battute di un racconto. Mi è piaciuto.
Grazie per averlo letto, Dbones! In effetti questa storia ha ancora dei punti sospesi e non mi dispiacerebbe che fosse ampliata. Credo che stia tornando a chiamarmi!