Un racconto di SEMENERO
Il telefono a muro squillò e Asmodeo Behemoth si alzò dal divano imprecando. Raggiunse la cucina continuando a tenere d’occhio la partita alla tv, mentre la squadra di casa, sotto di diversi punti, stava effettuando un’azione all’attacco. Mancavano pochi minuti alla fine della partita e al momento Asmodeo Behemoth stava perdendo altre duecento anime.
Sganciò la cornetta.
«Cosa?»
«Buonasera Asmodeo.»
«Sì, certo. Che vuoi?»
«Ti disturbo per caso?»
Sì, dannazione a te e alla tua maledetta stirpe!
«No, dimmi.»
«Amico mio, tu sei la mia salvezza. Ho un lavoro perfetto per il mio cacciatore di taglie preferito.»
«Ah sì? E perché non chiami lui?»
«Perché lui non mi deve più di diecimila anime, tanto per cominciare.»
«Hey, mi pareva di essere stato chiaro l’ultima volta: non lavoro gratis, nemmeno per saldare i debiti!»
«Ma Asmodeo, carissimo amico mio, finché non avrai ripagato quanto mi devi tu lavorerai sempre gratis!»
Ma almeno con gli altri posso decidere le tariffe!
L’azione era terminata in un nulla di fatto, Asmodeo approfittò di un replay per andare verso il frigo. Teneva la cornetta appoggiata alla spalla e la bloccava con la testa piegata di lato, il cavo dell’apparecchio attorcigliato alle sue caviglie mentre si aggirava per la cucina con due birre in mano alla ricerca di un cavatappi. Alla fine si arrese e strappò entrambi i tappi con un morso, facendoli scalzare grazie ai robusti canini.
«Senti, dimmi che cazzo vuoi.»
«Abbiamo un recupero.»
Asmodeo imprecò. «Mi prendi in giro? Non hai i tuoi galoppini per queste puttanate? Non ho tempo da perdere per poche anime in fuga.»
«È una sola anima.»
«Grazie di aver chiamato Paz’, adesso ho affari importanti da sbrigare.»
«Un fuggitivo.»
Asmodeo tracannò una delle bottiglie, gli occhi fissi sul fischio finale dell’arbitro e altre duecento anime che se ne andavano.
«Di che tipo?»
«Traditore.»
Quasi gli scappò da ridere. «Già. E hai pensato a me.»
«Come ho detto, tu hai…»
«Sono i recuperi che affidi ad Azazel, e se lo stai chiedendo a me vuol dire che sotto c’è un’inculata pazzesca. Normalmente ci andrei a nozze, ma, come mi hai fatto gentilmente notare, ho già diecimila anime di debito e parecchio lavoro da sbrigare. Quindi se vuoi riavere i tuoi soldi è il caso che mi lasci perdere.»
«Sei sempre stato pessimo a bluffare. Ma se la vuoi mettere così, per me va benissimo. Solo che… l’aveva detto.» Pazuzu rise e sospirò.
«Cosa? Chi ha detto cosa?»
«Azazel. Ma non farci caso, lo sa com’è fatto, gli piace provocare.»
La mano di Asmodeo stringeva ora il collo della seconda birra. «Dimmi che cazzo ha detto quello stronzo di me.»
«Ma non prendertela, ok? Ha detto che era sicuro che avresti rifiutato, che non dovevo preoccuparmi, e che scommetteva mille anime che avrebbe ripreso il fuggitivo non appena si fosse liberato, e comunque prima che tu potessi metterti all’opera. Il solito spaccone.»
Asmodeo Behemoth lanciò la seconda bottiglia per la stanza, frantumandola addosso al muro.
«Dì a quella mezza sega che io scommetto il doppio contro di lui! Prenderò il tuo strafottuto traditore prima che possa farsi una sega, mi hai capito?» aveva urlato dentro la cornetta.
«Molto bene, allora. Ti aspetto domattina in ufficio. Non fare tardi.»
Pazuzu riagganciò il telefono. Asmodeo non si era ancora calmato, ma si stava rendendo conto di come l’altro l’avesse infinocchiato alla grande. Sbatté la cornetta addosso al telefono, quindi prese tutto l’apparecchio, lo strappò dalla parete e lo lanciò sulla stanza vuota.
«MERDA!»
Assorto nei suoi pensieri e disturbato dal fastidioso rumore di sottofondo, Pazuzu quasi non si accorse che avevano bussato.
«È aperto!»
Quando Asmodeo Behemoth aprì la porta i lamenti dei dannati inondarono la stanza con la loro sconfortante afflizione.
«Svelto, svelto, richiudi!» fece il demone, sollecitandolo ad entrare. «Oh, Cristo! Uno pensa che prima o poi si abituerà, ma in giorni come questi, quando c’è qualche catastrofe in giro per il mondo, siamo letteralmente invasi dai dannati! Dico io: sono morti come degli stronzi, schiacciati sotto qualche maceria o annegati nella merda, o ridotti in pezzi da un’esplosione, conterà pure qualcosa, abbastanza da concedere qualche secolo in purgatorio, ma no! Finiscono tutti qui, questi schifosi peccatori!»
Asmodeo si era accomodato su una delle sedie di fronte a Pazuzu, appoggiando i piedi accavallati sul bordo della scrivania. Aveva preso senza complimenti uno dei sigari a disposizione per gli ospiti e se l’era acceso. «Scusa se non mi commuovo, ascoltando la tua tragica storia.»
«Dovresti, invece. Mezzo secolo qui dentro e non mi guarderesti più con quella spocchia da demone di mondo, sempre convinto di saperne più degli altri. Pensi sia un insensibile figlio di puttana? Mi farai una statua dopo un mese a mio posto.»
«Hai finito?»
Pazuzu gli lanciò un fascicolo.
«Lì c’è tutto quello che devi sapere sullo stronzo. Un’anima della peggiore specie, contesa da Caina, Antenora e Giudecca.»
«Pedofilo?»
«Un prete pedofilo. Tra le vittime ci sono i nipoti.»
Asmodeo si drizzò a sedere, leccandosi i canini superiori. Negli occhi una brama fiammeggiante. «Dimmi che è un novellino.»
«Intonso. Aveva appena messo piede nel limbo. Dobbiamo ancora approfondire, ma pare chiaro sia stato aiutato dall’interno.»
Ma Asmodeo non ascoltava più. Rovesciò la testa all’indietro, un sorriso malefico disegnato sul volto, pregustando già le sevizie che avrebbe imposto a quell’esistenza deprecabile, lontana dalla grazia divina, prima di riconsegnarla ai carnefici designati.
«Non garantisco di riportarlo integro» disse, scandendo con deliberata lentezza ogni parola.
«Prenditi pure le tue libertà, purché torni in nostro possesso. Naturalmente riterrò il lavoro eseguito una volta che ci sarà stato riconsegnato; fossi in te non ci perderei troppo tempo, sempre che tu ci tenga a vincere la scommessa.»
Asmodeo grugnì. «Che sta facendo Azazel?»
«Recupero multiplo, una gang sudamericana particolarmente vivace. Dovrebbe farcela in un paio di giorni, al massimo.»
«Figurati. E dove hanno visto lo stronzone l’ultima volta? Parlo del fuggitivo» disse sfoggiando un ghigno malefico.
Pazuzu sospirò. «Da qualche parte Italia.»
«Da qualche parte in Italia. Puoi essere più specifico?»
«Oh, scusa, che maleducato. Adesso ti spiego come fare il tuo lavoro. Anzi, sai cosa? Siediti e lascia che vada io a prenderlo, consideralo come un favore personale.»
Asmodeo si alzò, tirando un’ultima boccata di fumo dal sigaro, prima di spegnerlo tra indice e pollice, frantumandone le braci e spargendole con spregio sul pavimento.
Pazuzu continuò: «E fammi un favore, avvisa quella marmaglia li fuori che non ho tempo di occuparmi di loro perché devo leggere il fascicolo al posto di un analfabeta rompicoglioni!»
Trovare le anime dannate era tecnicamente abbastanza semplice. Vagavano sospese in una realtà appena sfasata, un piano dell’esistenza libero dai vincoli della carne ma di cui conoscevano così poco che per loro equivaleva a camminare in un deserto di notte col cielo coperto. Inoltre continuavano ad approcciarsi al loro nuovo stato come avrebbero fatto se fossero ancora esseri viventi. Cercavano l’interazione con un mondo che non poteva più accoglierle o soddisfarle. Ecco perché tornavano quasi sempre ai loro corpi, o dove ricordavano di essere state nei loro ultimi momenti di vita. A casa, in ospedale, sul luogo di lavoro. Cercavano quei luoghi familiari che li collegavano a memorie importanti. Le anime più scaltre e quelle persone che avevano avuto modo di attendere la propria dipartita riuscivano a comprendere il loro attuale stato e si recavano al cimitero. Non era infrequente che si risvegliassero nelle loro bare solo per arrendersi all’inevitabile secondo trapasso.
Quindi sì, di solito era semplice sapere dove trovare un fuggitivo: bastava tornare dov’erano morto. Ma se fosse stato così semplice Asmodeo Behemoth non sarebbe stato ingaggiato.
La canonica era pervasa dall’umore nero del peccato, i demoni lo percepivano come uno squalo avrebbe fiutato sangue nell’oceano. Asmodeo riuscì a cogliere solo un vago sentore degli atti impuri di don Ettore, un aroma sbiadito di atti lontani nel tempo, di almeno qualche settimana. Non aveva trovato niente fino a quel momento, coi metodi classici. Era necessario passare ai “metodi umani”.
Suor Carminia era stata monaca di clausura, poi trasferita in diversi istituti perché continuamente scoperta a rubare. Non aveva mai trovato la maniera di frenare la sua cleptomania, ma le tornò utile quando fu assegnata al suo primo collegio femminile. L’abilità con cui riusciva a trovare materiale proibito era diretta conseguenza della sua esperienza personale, e ciò, negli anni, le aveva dato potere sulle studentesse. Poteva essere una tremenda inquisitrice o un’ancora di salvezza per le ragazze che le avessero dato un buon motivo per essere risparmiate. Era una vera fortuna che fosse stata assegnata alla parrocchia di don Ettore: possedere il corpo di un’anima così perversa fu cosa rapida.
Asmodeo entrò nell’ufficio di don Ettore e lo perquisì con meticolosità, influenzato dalle abilità della sua ospite. A parte qualche foto di minori ben nascosta e un mazzo di chiavi, non trovò nulla di sospetto. Scandagliò l’agenda del prete e memorizzò il nome di un luogo, spesso collegato a un’iniziale: L. C’erano date e orari, che per esperienza collegò al calendario lunare. Quel tipo nascondeva molti più peccati di quanti la diocesi sospettasse. Liberò la suora e si diresse in periferia.
Si materializzò nel piano corporeo, squarciando la dimensione con un fragoroso crepitio, lasciando attorno a sé odore di ozono e zolfo. Il magazzino era poco distante da un bosco nel quale, se avesse cercato con dovuta solerzia, avrebbe senz’altro trovato resti di animali, forse umani, segni inequivocabili di messe nere ed evocazioni sataniche. Ma non aveva tempo per quello, e non gli era di alcun aiuto. Si concentrò sul magazzino, che poteva invece essere un buon nascondiglio. L’intuito non lo tradì, già sentiva l’umore nero salire dal pavimento: doveva esserci un piano sotterraneo, forse un locale nascosto. Le chiavi trovate in canonica si rivelarono subito utili – le usò solo per confermare i suoi sospetti, non aveva certo problemi a sfondare porte. O muri. Tuttavia una delle chiavi non aveva ancora la sua serratura.
Asmodeo si portò al centro del magazzino, un ampio spazio di circa 2000 m2, alto una ventina di metri, con grosse vetrate impolverate su tutto il perimetro. Lunghe file di scaffalature ammaccate e vecchi macchinari delineavano corridoi scomposti, ma la zona centrale era stata sgomberata e circondata di bancali. Era buio e freddo, la polvere copriva quasi tutto come un sudario. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo dalle larghe narici. Poteva quasi vedere una scia vermiglia prendere forma, muoversi al centro dello spiazzo e camminare avanti e indietro, disegnando un pentacolo, e muoversi quindi verso il centro per poi scendere in basso, in diagonale. Aprì gli occhi e tastò il pavimento: scostò un largo tappeto in PVC che rivelò una botola. L’ultima chiave ne aprì la serratura e rivelò una stretta scalinata in cemento grezzo.
I peli sul suo corpo si rizzarono, poiché percepiva l’odore del sangue e il profumo del peccato. Si sentiva eccitato come non gli capitava da secoli, era un cacciatore in preda a una crisi d’astinenza e la sua droga pareva chiamarlo dal fondo di quella scalinata.
Pensava di sapere cosa avrebbe trovato, e non era tanto distante dalla verità: l’anima, rivestita delle marcescenti vestigia terrene, era impegnata in un rito sacrificale volto a soddisfare il demone che l’aveva aiutato e che negli anni aveva servito e adorato. Ciò che non sospettava era chi avrebbe trovato e qual era l’offerta impegnata.
«Lilith!»
Il demone teneva la testa di don Ettore serrata nelle aguzze fila di denti che risiedevano tra le sue cosce. Mentre il corpo si dibatteva, parzialmente sciolto da roventi secrezioni acide, l’anima del dannato vibrava e si contorceva cercando di resistere alla suzione. Un debito troppo alto per il servizio reso.
Asmodeo Behemoth faticava a tenere a bada il fremito animalesco che sentì pervaderlo. Ruggì d’istinto, improvvisamente preda di una fame satanica e desideroso di condividere il blasfemo banchetto, e similmente gli rispose l’antica compagna, nell’atto di proteggere la preda di cui si stava cibando, la succulenta anima nera.
La motivazione che l’aveva spinto fin lì venne cancellata dalla sua mente. Si gettò addosso a Lilith e lei sfoderò i lunghi artigli, che affondarono nelle carni del Behemoth. Lui, di tutta risposta, le strinse un braccio, spezzandone le ossa e facendo esplodere le carni in uno spruzzo di linfa. Con devastante potenza, la tempestò di pugni, ai quali lei rispose con urla ultrasoniche che gli sfondarono i timpani. La lotta continuò in un turbinio di sangue e membra, fiamme e gelo, umori, viscere, veleno e acido, invocazioni maledette e innominabili litanie di antichi anatemi.
Riprese coscienza di sé, ciò che rimaneva di un corpo vagamente umanoide dai tratti bestiali era disteso su un pavimento intriso di sangue e merda. Un’anima nera come la pece, grondante peccato da ogni sua molecola di esistenza, sembrava chiedergli pietà. Desiderava l’inferno da cui era fuggito, desiderava una pena eterna, perché ciò che stava accadendo era peggio. Stava per essere digerito da Lilith, prossimo ad entrare in quello che loro chiamavano “il supplizio senza limite”, perché nessuno aveva mai saputo descrivere quanto fosse il dolore.
Lilith guardava Asmodeo compiaciuta.
«Dobbiamo rifarlo, qualche volta.»
Asmodeo sorrise. Si crogiolava nel terrificante spettacolo che avveniva davanti ai suoi occhi. Ormai arresosi, si limitava a godere della vista che la demone aveva deciso di concedergli.
In fondo, le duemila anime che aveva appena perso le valeva tutte.
Trovo il ritmo pressoché perfetto. In un altro commento ho paragonato i racconti a proiettili – questo lo è davvero. Rapido, liscio.
… vorrei solo capire come andrà a spiegare il fallimento. Cioè, gnocca Lilith eh, sicuro sul momento vale la pena guardarla muoversi e agire, ma poi come lo paghi, l’affitto, eh? 😉
lettura senza il minimo intoppo, diluizione inutile, dialoghi quasi perfetti. a me è piaciuto moltissimo.
Scorre liscio e senza intoppi. Intrattiene, quindi gioco riuscito. Un po’ classica l’ambientazione, ma abbiamo bisogno di certezze!
Ciao, devo dire che questi demoni hanno un modo di comportarsi decisamente “umano”.
Racconto divertente. Sembra quasi una puntata di Supernatural. Non è un difetto, intendiamoci.🙂